Strage di anziani, choc in Emilia: ‘Lì dentro si muore, qual è il problema?’

“Il direttore sanitario aveva verificato patologie di difficile interpretazione e alcuni decessi che iniziavano ad emergere. Ha segnalato tutto all’Ausl, chiedendo tamponi, ma ha avuto risposte incomplete e non immediate”. Sasso Marconi, piccolo paese alle porte di Bologna. A parlare al Giornale.it è una fonte di alto livello vicina alla direzione di Villa Teresa, casa di cura per anziani falcidiata dal coronavirus.

Su circa ottanta ospiti, il bollettino riporta trenta decessi negli ultimi due mesi, di cui almeno 15 con sintomi influenzali o infetti. Molti sono stati trasferiti, i positivi non mancano. Una strage simile a quelle registrate in Lombardia, Toscana, Veneto, Lazio e ovviamente in altre zone dell’Emilia. Ma mentre in quasi tutta Italia si punta il dito contro le direzioni delle strutture, nella città dove aveva la sua residenza Guglielmo Marconi c’è chi sposta l’attenzione più a monte. Cioè verso la gestione dell’emergenza da parte dell’Azienda ospedaliera emiliana. “Non c’è stata una solerte reazione dell’Ausl”, riporta la fonte secondo cui i tamponi sarebbero arrivati tardi e non a sufficienza. “Un intervento tempestivo poteva forse arginare in parte lo sviluppo del problema”. Ed evitare decine di morti.La cura di un paziente infetto (La Presse)

Tutto inizia un mese esatto fa, il 25 marzo, quando il direttore sanitario di Villa Teresa invia una e-mail all’Ausl per informare la presenza di “ospiti sospetti per Covid-19” all’interno della struttura. L’epidemia in Italia è già esplosa da qualche giorno, ma in pochi ancora guardano alle case per anziani come a bombe epidemiologiche pronte ad esplodere. A Villa Teresa c’è però chi teme un focolaio. In quel momento, secondo quanto risulta al Giornale.it, almeno 13 ospiti mostrano linee di febbre, di cui 4 con difficoltà respiratorie. “I tamponi sono stati fatti il 28 marzo su un cluster di pazienti segnalati”, dice il dottor Vittorio Zatti, direttore sanitario della Villa. Bene, ma quanto era ampio il cluster? Sono stati inclusi tutti e 13 i sospetti? “Dopo tale data – aggiunge – ho richiesto i tamponi a tutti gli ospiti presenti in struttura compresi gli asintomatici”. Ed è proprio qui che sorge il dubbio: i test sui casi dubbi sono stati fatti? “Villa Teresa – spiega la fonte – ha sempre segnalato i diversi sviluppi, richiedendo in continuazione di fare uno screening preventivo completo della situazione, ma c’è stata difficoltà di risposta da parte dell’azienda Usl”. Almeno fino a Pasqua, quando si sono “palesati casi conclamati, è uscita la notizia” e allora “sono partiti gli screening a tappeto”.

A Sasso Marconi forse nessuno se l’aspettava, o almeno non così devastante. La struttura gode di buona fama ed è gestita dal 1972 dalla società Provvidenza Srl, il cui socio unico è la Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro. La casa ospita anche anziani non autosufficienti e 60 posti sono in convenzione con l’Ausl. L’amministrazione comunale sostiene di aver scoperto i contagi “intorno al 10 aprile”, quando la situazione era ormai “già orientata all’epidemia”. In quei giorni almeno 10 ospiti sono stati trasferiti in ospedale e ora si sta lavorando per portarne altri 18 in nosocomi della provincia. La situazione è critica: gli operatori sono ridotti all’osso e tra quarantene e malattie ne sono rimasti solo una quindicina su 65. Il Comune assicura che all’interno tutte le misure preventive sono state messe in atto, dalla consegna dell’uso dei Dpi “sin dai primi giorni dell’emergenza” fino alla creazione di aree separate per sani e infetti. Anche la Cgil lo conferma: “I lavoratori ci hanno detto che le mascherine sono state date tempestivamente – ha spiegato il sindacalista Manuel Mesoraca a Repubblica – E so che nelle ultime settimane sono state anche implementate le pulizie”. Ma se la struttura ha sempre rispettato “tutte le indicazioni operative per prevenire la diffusione dell’infezione”, come si spiega l’ecatombe?Test seriologici per il coronavirus (Fotogramma)

“È evidente che ci sono stati ritardi e inefficienze da parte dell’Ausl”, dice la fonte. Al netto dei trasferimenti di metà aprile, “la gran parte è stata lasciata lì” nonostante il direttore sanitario pare avesse avanzato “richieste specifiche” per i tamponi e per “lo spostamento di alcune persone dichiarate non più gestibili dalla struttura”. Ci sono stati tentennamenti? “Si è cercato di rimandare il più possibile il problema, di scaricarlo sulla singola struttura che però non è stata pensata per questo tipo di interventi”. Le parole ricorrenti sono “minimizzazione” e “atteggiamento remissivo”. Cioè pochi tamponi e trasferimenti arrivati troppo tardi. “Hanno iniziato a rispondere ‘adesso vediamo, non possiamo fare altro, tanto dovete tenerli voi'”. Come se ci fosse “il tentativo di non interpretare i primi decessi come causati dal coronavirus”, ma di “ridimensionarli”. La fonte cita il riassunto di un discorso con l’Ausl, riferitogli da uno dei gestori, a seguito dei primi decessi: “Sicuramente ricordo una frase: ‘È normale che lì dentro si muoia, quindi qual è il problema se muore qualcuno?'”.Un operatore sanitario (Fotogramma)

Abbiamo provato più volte a contattare il direttore sanitario di Villa Teresa, senza successo. Lo stesso abbiamo fatto con l’Ausl, anche per permettere una replica alle accuse. Ma ci hanno fatto sapere che “per garbo istituzionale l’Azienda si astiene da dichiarazioni pubbliche”. Bocche cucite. Sull’intera vicenda infatti ora pendono le indagini della procura bolognese, che ha aperto un fascicolo a seguito di un esposto della famiglia di una donna di 87 anni morta nella Villa. L’ipotesi di reato è omicidio colposo, per ora contro ignoti. “All’ospite in questione pochi giorni fa era stato fatto da parte del medico dell’Ausl il rituale tampone faringeo tonsillare il quale aveva dato esito negativo”, fa sapere l’avvocato Patrizio Orlandi, che rappresenta la Villa. E poi aggiunge: “La struttura si è sempre attenuta ai protocolli regionali contenenti le indicazioni operative per prevenire la diffusione dell’infezione da Covid19 ed ha scrupolosamente rispettato le indicazioni impartite dall’Ausl di riferimento con cui la task force è sempre stata in costante e continuo contatto fin dai primi giorni di marzo”. Come a dire: se qualcosa è andato storto, è alle indicazioni dell’azienda sanitaria e ai protocolli regionali che bisogna guardare. Non alla gestione della struttura.Sanitari e medici al lavoro (La Presse)

In Emilia Romagna esiste un problema case di riposo. Inutile nasconderlo. A confermarlo ci sono i dati dell’Iss, dove la Regione svetta dietro la Lombardia per contagi e decessi. Non è un caso se la giunta guidata da Stefano Bonaccini ha deciso di emettere, due giorni fa, un documento per rafforzare le disposizioni operative indirizzate ai gestori. In sintesi: tamponi “nel più breve tempo possibile”, sia sui casi sospetti che “ad ampio raggio laddove ci siano casi già attivi”; sorveglianza costante; isolamento sicuro dei positivi in zone rosse o “collocazioni alternative”. L’assessore Raffaele Donini ha già messo le mani avanti: “Naturalmente – ha detto – i gestori hanno esclusiva responsabilità giuridica rispetto agli aspetti organizzativi delle attività”. La giunta dunque se ne chiama fuori. Ma se le case di cura si attengono ai protocolli regionali ed esplode comunque il contagio, non va forse valutata anche la posizione della Regione?

Villa Teresa è infatti una struttura privata, ma – per dirla con le parole del sindaco Roberto Parmeggiani – “si muove secondo le indicazioni condivise dal gestore con il Direttore sanitario per il monitoraggio della situazione clinica e la collaborazione con geriatra, infettivologo, medico di Igiene Pubblica e infermiere per il controllo qualità”. Insomma: un groviglio di ruoli e obblighi sul baratro di un’inchiesta giudiziaria. Inoltre l’Ausl svolge funzione di supporto e vigilanza, oltre ad avere l’onere di realizzare i test per il Covid-19. È dunque possibile che nei prossimi giorni nasca un rimpallo di responsabilità: se in Villa è esploso il focolaio, è colpa della proprietà o di chi fa (o non fa) i tamponi? “Se il 26 marzo ci fosse stato un intervento reale”, sussurra affranta la fonte, “forse avremmo salvato qualche vita”. Che poi è l’unica cosa che conta.

il giornale.it

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