Caro Ministro Bussetti, le scrivo per parlare delle complessità di tutte le scuole

Caro Ministro le scrivo…non per “distrarmi un po’” e neppure per distrarre lei dalle fatiche istituzionali, anzi! Desidero focalizzare la sua attenzione, e quella di chi legge, sul senso profondo di quelle sue affermazioni un po’ fraintese e un po’ intese troppo bene sulla necessità – per la Scuola del Sud – di impegnarsi e lavorare sodo…

Anzitutto, che tali necessità – impegno e lavoro – siano un must, nel mondo tutto della Scuola pubblica italiana, statale e paritaria, è sotto gli occhi di ogni cittadino (in particolare del contribuente), anche il più distratto.

Riguardo alla prima, la scuola pubblica statale, non mi pare il caso di ricordarle quante migliaia di presidi occorrono, insieme a diverse migliaia di cattedre da assegnare, soprattutto per il sostegno, senza parlare del personale amministrativo – per evitare che i suoi dirigenti scolastici provinciali lavorino da soli tutta l’estate, come è capitato quest’anno in qualche caso eclatante, notte e giorno, per predisporre l’organico entro il 1° settembre… Per non parlare dell’impegno e del lavoro degli uffici comunali e provinciali preposti a verificare lo stato degli edifici e a organizzare le manutenzioni…per fronteggiare i possibili crolli imminenti. Non sia mai! Preghi, caro Ministro, a qualunque religione appartenga. Forse è di buon auspicio la nuova ventata di fiducia, autorevolmente asserita in molteplici occasioni, nella assoluta capacità economica dello Stato (e a cascata di Regioni, Province e Comuni) di provvedere a tutte le necessità: dai ponti ai muri di contenimento, dalla ricostruzione post terremoto alla salvaguardia dei beni culturali, dalle grandi opere infrastrutturali – solo squisitamente italiane- alla messa in sicurezza del territorio, e naturalmente alle necessità della Scuola in tempi di emergenza educativa (psicologi, educatori, assistenti sociali, classi a numero limitato, diffusione dei plessi sul territorio, docenti seri, motivati e ben formati, controlli antidroga, maestri di strada assolutamente necessari in certi contesi), a fronte della fragilità della famiglia e della società. Non sia mai che i privati osino farsi avanti. Il guadagno è (chiedo venia, ma l’espressione è un classico) lo sterco del diavolo e lo Stato repubblicano deve gestire in proprio (e anche controllare) tutta l’attività economica, sociale, sanitaria, culturale quotidiana dei Cittadini.

Anche la scuola pubblica paritaria italiana, con i suoi gestori, dirigenti e docenti, non è esonerata dall’impegnarsi e lavorare sodo, secondo il suo consiglio, per il milione di studenti che l’hanno scelta, come lei sa, al caro prezzo delle imposte versate allo Stato e delle rette pagate per esercitare una libertà di scelta sancita ma non garantita. Una gestione perfetta quanto ai bilanci consolidati, equa, solidale, trasparente, onesta dal punto di vista fiscale, amministrativo, giuslavoristico, può non essere sufficiente per la sopravvivenza di una buona scuola pubblica paritaria, se il povero – che ne ha il diritto costituzionale – non può sceglierla. E neppure l’handicappato può sceglierla, perché se la scuola pubblica paritaria accogliesse proprio tutti i portatori di handicap che la richiedono, per esempio per il suo valore inclusivo ed educativo, poniamo al 1° settembre, il 2 settembre dovrebbe chiudere e mandare a casa alunni (disabili e non), docenti, assistenti e amministrativi, per l’impossibilità a pagarne le spese. Lei dirà che c’è lo Stato che provvede all’educazione dei giovani. Di tutti i giovani della Repubblica? Sul versante economico, consideri che ciò comporterebbe una spesa aggiuntiva di sei miliardi di euro annui, che attualmente le scuole paritarie fanno risparmiare allo Stato. Sul fonte costituzionale, per quanto possa interessare un rigore in tal senso, in questi tempi di libero scambio dei ruoli istituzionali (non è influente l’essere ministro di un settore piuttosto che di un altro: I care), l’educazione avocata a sé dallo Stato è prevista nel caso di genitori incapaci di intendere e di volere. Immagino che i suoi studi pregressi le aprano la mente allo scenario di questa possibilità: il regime.

Dunque, caro Ministro, lei aveva ragione a esortare dirigenti, docenti, studenti all’impegno e al duro lavoro di riflessione sulla condizione odierna della Scuola italiana: l’avranno preoccupata le statistiche OCSE-PISA e le discrepanze tra i risultati, a livello europeo, emersi dalla nostra Scuola rispetto a quella di Paesi in cui il genitore può scegliere la buona scuola pubblica che desidera, statale o non statale (in Europa tutti, tranne Grecia e Italia). Alla sua attenzione non può sfuggire che la scuola pubblica italiana nel suo insieme (statale e paritaria) è destinata al tracollo certo se non si studia la fattibilità del costo standard per alunno, che procurerebbe un risparmio annuale a nove zeri per l’erario e la possibilità di onorare, non a parole ma con i fatti, la nostra Costituzione che – prima fra tutte nel dopoguerra – ha affermato il diritto del genitore a scegliere l’educazione desiderata per il proprio figlio, in una pluralità di offerta formativa. Troppo difficile? Calcolo complicato? Non occorrono laureati al Massachusetts Institute of Technology; interpelli i Ragionieri del suo Ministero: loro sanno come si fa e non aspettano altro.

Con la più viva cordialità.

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