Meno deputati più poltrone nelle partecipate

Sono favolose le ipocrisie di questo governo. Per carità, non si tratta di un’eccezione. Ma, certo, vedere la coalizione giallorossa che brinda alla riduzione dei parlamentari e si “scanna” per la moltiplicazione delle poltrone nei consigli di amministrazione delle controllate pubbliche, beh è davvero ridicolo.

Ma andiamo con ordine.

I due recenti casi riguardano una banca, la Popolare di Bari, e la solita Alitalia.

La ex compagnia di bandiera sono mesi che tiene in caldo l’ennesima newco, così si definisce la scatoletta societaria che periodicamente prova a rimettere in sesto i conti della compagnia aerea, scaricando sulla vecchia società una parte dei debiti e del pessimo avviamento. Il governo, inoltre, da mesi ha scelto per gestirla due ottimi manager, non certo di estrazione politica: Fabio Lazzerini, con il ruolo designato di amministratore delegato, e Francesco Caio (come presidente). Era tutto pronto da mesi, ma la politica litigava sulla composizione del consiglio di amministrazione. Roba da matti o, qualcuno direbbe, da Prima Repubblica. Nel frattempo, le altre compagnie razzolavano nell’orto italiano, certo non florido, ma pur sempre quello di un grande Paese, e la vecchia Alitalia bruciava cassa. Dopo quattro mesi Zingaretti, Di Maio e Renzi si mettono d’accordo. E l’intesa ovviamente cosa prevede? Il passaggio da sette a nove dei consiglieri di amministrazione. Allora, qualcuno ci deve spiegare che necessità c’era di perdere così tanto tempo se non per trovare una mediazione sui nomi da inserire e un accordo con il partito di Renzi da accontentare, allargando il club a spese della compagnia. Non siamo dei costituzionalisti e non vogliamo addentrarci sul numero corretto di rappresentanti del popolo che devono rappresentarci nelle due Camere, ma godiamo di un briciolo di buon senso per ritenere che una società incasinatissima e totalmente pubblica come Alitalia dovesse partire con un consiglio snello. Un amministratore che si intenda del suo mercato, e su questo ci siamo, un presidente che si occupi di governance, e su questo Caio è sin troppo, e un fazzoletto di consiglieri che rappresentino il Tesoro. E invece no: abbiamo ricreato un inutile parlamentino, che se non ostacolerà i vertici aziendali, come minimo incasserà quell’odiato gettone, su cui la maggioranza grillina ha creato la sua fortuna.

Del tutto simile il discorso sulla commissariata Banca popolare di Bari. Amministratore e presidente di livello (certo ognuno può avere i suoi gusti, ma non siamo qui per entrare nel merito) e un consiglio portato da cinque a sette membri. Ma perché? Il terzetto dei pugliesi è favoloso: l’ex assessore del sindaco Emiliano, giustamente in quota Emiliano, il consulente del ministro Boccia e l’ottimo avvocato brindisino in quota Conte. È così. Nessuno stupore, e pochi tremori, per citare Amélie Nothomb. Tre posti sono presi, altri due prenotati e il resto mancia.

Non ci scandalizziamo. Quando lo Stato entra nell’economia, è lo Stato, e cioè chi provvisoriamente comanda, che nomina i suoi riferimenti in azienda. Pensateci, cari statalisti dell’ultima ora, quando ritenete cosa buona e giusta spostare dal privato al pubblico un pezzo della nostra malandata corporate italiana.

il giornale.it

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