Il virus ha bloccato gli ospedali: 410 mila interventi rimandati, “rischiamo 20 mila morti”

Roma, 29 mag – Continuano a manifestarsi i danni collaterali dell’epidemia di coronavirus che ha causato più di 33mila morti (secondo le cifre della Protezione civile) e ha paralizzato per mesi l’intero sistema sanitario nazionale (oltre ad aver messo in ginocchio quello socio-economico). Mentre, infatti, i reparti dedicati ai malati di Covid-19 e le terapie intensive si svuotano, ora l’emergenza riguarda 410mila pazienti non-covid che nei mesi scorsi si sono visti costretti a rinviare interventi chirurgici programmati, e ora rischiano di dover attendere altri sei mesi perché possano ricevere le cure del Ssn.

A questi si aggiungono gli 11 milioni di italiani che nei mesi scorsi hanno dovuto saltare accertamenti, esami e visite di controllo. Gli strascichi dell’emergenza sanitaria hanno quindi colpito chi, ad esempio, doveva verificare se una terapia contro il cancro aveva sortito gli effetti sperati, o chi si sarebbe dovuto sottoporre ad accertamenti cardiologici. A tal proposito uno studio della società italiana di cardiologia parla di morti triplicate solo per infarto.

Lo rivela uno studio condotto da Nomisma e riportato oggi dalla Stampa, secondo il quale «il maggior numero di interventi saltati sono quelli a ossa e muscoli, 135.700 pari al 79% del totale, seguiti degli interventi all’apparato circolatorio (54mila, il 56% del totale) e al sistema digerente, altri 39mila, pari al 65% del complesso». Una nuova emergenza, questa volta silenziosa e che non troverà spazio sulle aperture in prima pagina delle testate giornalistiche, e per la quale nessun virologo sta lanciando anatemi allarmistici, che rischia potenzialmente di fare un numero di morti poco inferiore a quelli causati dall’epidemia stessa.

«Considerando che nei nostri ospedali si eseguono 4 milioni di interventi l’anno e ipotizzando che al massimo potremo aumentare l’attività del 20% per smaltire l’arretrato serviranno almeno sei mesi», avverte Carlo Palermo, segretario nazionale dell’Anaao, il principale sindacato dei medici ospedalieri, «Il rinvio per così tanto tempo di accertamenti e interventi in sala operatoria potrebbe costare 20mila morti a fine anno solo per le malattie cardiovascolari», denuncia. Per ovviare a questa gravissima emergenza è necessario, secondo Palermo «assumere medici con contratti a sei mesi e incentivare la libera professione negli ospedali pubblici, che almeno ha prezzi calmierati». Gli fa eco Vincenzo Vergallo, presidente dell’Aaroi, l’associazione dei medici anestesisti e rianimatori. «Abbiamo già accumulato una montagna di ferie ed ora dovremo sicuramente accontentarci di fare vacanze ridotte d’estate. Ma serve assumere perché non sarà facile smaltire gli arretrati rispettando le regole di sicurezza che prevedono di sanificare la sale operatorie dopo ogni intervento e di contingentare le visite pre-ricovero».

Il grido d’allarme è lanciato anche dagli ambulatori specialistici, «chiusi fino a ieri quelli ospedalieri e funzionanti al 40% gli altri». Secondo il Sumai, l’organizzazione dei medici impiegati in detti ambulatori, sono stimate a circa 11 milioni le visite rinviate durante il lockdown. «Se mediamente ciascuno di noi visitava venti pazienti al giorno, durante l’emergenza abbiamo avuto sulle quattro prenotazioni per i casi più gravi, ed alcuni nemmeno si presentavano per paura del contagio», spiega il presidente Antonio Magi, che è anche a capo dell’Ordine dei medici di Roma. «Ora andranno ad ingolfare liste di attesa già insostenibili, per questo chiediamo un piano di emergenza per affrontare anche la nostra Fase 2». Anche qui le soluzioni prevedono di «impegnare gli specialisti ambulatoriali per 38 ore settimanali anziché le 22 oggi di media e utilizzare la telemedicina per il controllo a distanza dei malati cronici quando si tratta di accertare solo l’aderenza e la risposta alle terapie», illustra Magi.

Cristina Gauri

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