Quelle voci in Parlamento: il governo non vedrà l’estate

Tic tac tic tac. Quanto tempo resta al Conte bis? Non è per portare sfiga. È che ormai ovunque ti giri trovi qualcuno con il calendario in mano che fa i conti sulla data, sfogliando ogni giorno la margherita del cade o non cade.

La sfiducia, in attesa di quella parlamentare, si respira nell’aria. È una voce che corre, un sussurro, un sentimento. È come se a un certo punto questo premier nella tempesta si fosse ritrovato senza appoggi. Scarnificata. Ma c’è l’emergenza coronavirus? Appunto. La figura di Conte si è consumata in questi mesi di quarantena. È l’immagine di un’Italia che è stata colpita all’improvviso, sorpresa, inerme e alle corde, che sta ancora cercando di sopravvivere, un po’ improvvisando, un po’ trovando le ultime energie nei nervi e nelle ossa. Prima o poi bisognerà però pure uscire, lasciare casa e vedere fuori cosa è rimasto. È la stracitata «fase due», quella del dopo, della ricostruzione. Molti, fuori e dentro la maggioranza di governo, si sono convinti che non può essere Conte l’uomo di domani. Ma i sondaggi dicono che è popolare? Non abbastanza, e comunque mica si vota.

Pierferdinando Casini confessa a Francesco Verderami, sul Corriere della Sera, che è questione di poco, «un mese o due al massimo». Non arriva all’estate. Non è una profezia. È più un rumore di fondo, come quando senti scricchiolare qualcosa. È un invito a guardare i segnali, sapendo che comunque l’avvocato non va sottovalutato. È uno che resiste e da una vita si è allenato a non andare a fondo. Ormai si è capito che è un maestro del «morto a galla». Solo che le crepe si vedono e ci sono. Guardate la questione nomine: Eni, Enel, Leonardo, Ferrovie e compagnia bella. È lì che il potere si pesa e si conta. Il Conte bis nasce anche per giocare al risiko delle partecipate di Stato. Era, prima della pandemia, il primo test di galleggiamento per il governo nato dopo l’estate del Papeete. Ecco, il premier non sta toccando palla. È, dicono, un segno di debolezza, non incide, non ha alleati, non ha una rete in grado di pescare in profondità. Chi invece fa sentire la sua voce è Dario Franceschini, ministro della Cultura, uno con la fama di grande tessitore. Si nota anche la mano di Luigino Di Maio, ministro degli Esteri e capo politico grillino in sonno. Qui c’è un altro pezzo della debolezza di Conte. In questi mesi ha cercato una sponda con Crimi e Buffagni, magari con l’idea prima o poi di dare vita a un progetto verde, non alternativo ai Cinque Stelle. Ma Di Maio ha ancora in mano il Movimento e non fa nulla per proteggere Palazzo Chigi.

Conte si è proposto anche come punto di riferimento della sinistra, dialogando con Gentiloni e ricevendo perfino una mezza investitura da Zingaretti. Solo che anche lì le cose sono cambiate. Il Pd lo ha mollato. Non è piaciuto il suo protagonismo. Non ascolta, non condivide, non dialoga. È rimasto chiuso nel suo «gabinetto di guerra». La fotografia della maggioranza mostra una trincea tra il Pd e i Cinque Stelle, ma anche una insofferenza sempre più difficile da nascondere di tutti e due i partiti verso il presidente del consiglio. Il litigio di ieri tra Vittorio Colao, chiamato a guidare una task force senza poteri, e il governo è il segno che la tensione è oltre misura.

Chi staccherà la spina? Qui tutti guardano a Matteo Renzi. È come indicare il maggiordomo. Il leader di Italia viva è un altro che dalle nomine sta avendo solo porte in faccia. Sognava di piazzare Ernesto Carbone, «mister ciaone», all’Eni e si è dovuto arrendere. Restare nella maggioranza per Matteo è ormai solo tempo perso. È lui l’indiziato. Troppo scontato, però. Questa è più una storia da Assassinio sull’Orient Express. Alla fine a dare la coltellata saranno tutti i passeggeri del treno.

Il governo, dicono, morirà davanti ai fatti: una crisi di cui non sappiamo neppure valutare le dimensioni. Chi prenderà il suo posto? Dipende da quanta sarà brutta la ripartenza. C’è chi pensa a un traghettatore. I nomi di Colao e di Fabio Panetta, al momento in Bce, girano da tempo. Si dice che Franceschini stia pensando a una donna, una figura che assomiglia a Marta Cartabia, presidente in scadenza della Corte Costituzionale, cattolica e gradita al Quirinale. Ma se fuori c’è il deserto? Se troveremo negozi chiusi e disoccupazione oltre il 20 per cento? A quel punto tocca giocarsi l’unica riserva della nazione: Mario Draghi. Si sente spesso con Mattarella. È la carta della disperazione.

il giornale.it

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.