Chilometro zero e made in Italy: così la nostra economia può tornare a respirare

Roma, 19 apr – La crisi ha colpito e colpirà duramente, in primis a causa di una politica economica inesistente da parte del governo. Un nuovo nemico si è presentato alle porte dell’Italia minacciando ancora di più lo sviluppo: il coronavirus, capace da solo di mettere praticamente in ginocchio l’intera nazione: con la scusa della quarantena infatti molti cittadini e lavoratori sono obbligati a restare a casa, compromettendo buona parte delle normali attività quotidiane. Esistono dei modelli economici che potrebbero darci respiro? Una risposta a questo periodo nero può essere trovata nei mercati agricoli cosiddetti “a chilometro zero”.

Il chilometro zero

I mercati a chilometro zero e le piccole imprese sono inseriti nel contesto più ampio della microeconomia. Questo modello economico è di fondamentale importanza nel panorama economico mondiale, specialmente per l’Italia perché tali realtà rappresentano il grosso dello sviluppo del Paese. Le piccole imprese hanno un peso notevole anche solo per una questione prettamente numerica, visto che rappresentano circa il 90% delle aziende attive sul territorio.

L’esplosione del coronavirus in Italia sta minacciando, oltre alla salute dei cittadini, i ritmi di crescita già fiacchi del sistema economico nazionale. La crisi economica, la globalizzazione dei mercati e delle merci e lo scoppio dell’epidemia ci stanno portando a un ritorno e a una ricerca della relazione “local”, in particolar modo per quanto riguarda l’agricoltura e l’alimentare. Ci si fida di più del vicino che si conosce e diffidiamo da ciò che arriva da lontano, da estranei. Questo forse è anche una sorta di legittima difesa, che in epoca di crisi si diffonde maggiormente come forma di autotutela.

I vantaggi dei prodotti a chilometro zero ad esempio spesso superano di gran lunga gli svantaggi. Il primo vantaggio di una spesa a chilometro zero è per la propria salute: si sa da chi si stanno acquistando i prodotti e si sa come li ha realizzati. In più sono freschi, appena raccolti, niente maturazioni in celle frigorifere e nessun bisogno di conservanti. E così si arriva al secondo vantaggio, che è chiaramente il gusto. Sono l’aria aperta e i raggi del sole a stimolare quelle sostanze che rendono il sapore di una zucchina diverso da quello di una melanzana e sono i principi nutritivi del terreno che rendono buono un rapanello o una patata.

Una scelta ambientale e territoriale

L’eliminazione di tutti i passaggi intermedi fa poi sì che non se ne debba più sostenere il costo. Significa quindi che, il più delle volte, comprando a chilometro zero si risparmia. Naturalmente, il vantaggio maggiore lo si regala all’ambiente: abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, niente spreco di acqua o energia per la lavorazione, il confezionamento e la conservazione del prodotto e in più l’eliminazione degli imballaggi di plastica o cartone.

Gli svantaggi, invece, riguardano principalmente la possibilità di scelta. Se si acquista a chilometro zero significa che si avranno a disposizione quasi sempre solo prodotti di stagione, quindi non si potrà cucinare lo stesso piatto a gennaio e ad aprile. Non solo, ma vengono valorizzati soprattutto alimenti legati al territorio, quindi sarà più facile trovare gli agrumi in Sicilia e le mele in Trentino piuttosto che viceversa.

Chilometro zero non significa ovviamente che si debba dimenticare qualsiasi altro prodotto che non venga coltivato dietro casa, ma che si decida di basare le nostre abitudini alimentari soprattutto sui prodotti del nostro territorio e che si consideri maggiormente il resto come un’eccezione.

Riscoprire la comunità

Combinando tecnologia e agricoltura sostenibile, in Italia ad esempio sta nascendo un progetto chiamato “L’alveare che dice Si!”. Questa innovazione sta introducendo un nuovo modo di fare la spesa nel quale produttori locali e acquirenti si uniscono per sostenere il consumo di prodotti freschi: la piattaforma di vendita favorisce scambi diretti fra le imprese locali e la comunità di consumatore. Tutto ciò oltre ad essere un guadagno per entrambe le parti è anche un buon modo di riscoprire e di tornare a contatto con una realtà comunitaria, soprattutto nel panorama di questa grave crisi economica dove abbiamo visto la gente pensare in primis a sé stessa svuotando letteralmente i supermercati.

Il chilometro e il modello microeconomico in generale darebbero quindi modo di valorizzare il territorio e di instaurare un contatto diretto tra il cittadino e la propria comunità di appartenenza. Darebbe l’occasione per cambiare passo e valorizzare il ruolo delle piccole imprese agricole che sono il cuore pulsante della nazione, soprattutto dopo il flagello del coronavirus che rischia di uccidere, oltre a migliaia di cittadini, anche un già traballante sistema economico. Valorizzare e acquistare il “made in Italy” rimane uno dei pochi metodi a disposizione per dare una possibilità all’Italia di riprendersi dopo lo stop semi-totale delle aziende.

Nicolò Banterla

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