Procreazione, per la Consulta le coppie gay non sono famiglia. Qualcuno lo dica alla Cirinnà

Occhio all’inganno. La notizia è di quelle esplosive. Eppure, è passata in second’ordine e, per giunta, camuffata dietro le sembianze di un’altra. Parliamo della sentenza n. 221 del 23 ottobre scorso con cui la Corte Costituzionale ha rigettato le eccezioni di costituzionalità avanzate da due tribunali, Pordenone e Bolzano, in ordine alle norme che limitano l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole «coppie […] di sesso diverso» e sanzionano, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche «a coppie […] composte da soggetti dello stesso sesso». Fuori dai tecnicismi, significa che la Consulta ha messo la parola fine – definitivamente, si spera – ai tentativi di coppie gay e lesbiche di appropriarsi del concetto di famiglia. Con buona pace della senatrice Cirinnà.

La famiglia è solo quella indicata dalla Costituzione
Molto abilmente la notizia era stata offuscata da una nota stampa emessa dalla stessa Consulta il 22 ottobre, giorno precedente all’emanazione della sentenza n. 221. In tale comunicato la Corte informava di aver rigettato come «inammissibile per difetto di motivazione» la questione sollevata dal tribunale di Pisa relativamente all’atto di nascita di un bambino con due madri. Un bimbo nato in Italia, ma che ha acquisito la nazionalità Usa dalla madre gestazionale. La differenza tra le due vicende è nettissima: sull’eccezione del tribunale di Pisa, la Consulta non è entrata nel merito. Lo ha fatto invece sulle questioni sollevate dai tribunali di Pordenone e Bolzano. E ha stabilito che la famiglia è solo quella prevista dall’articolo 29 della Costituzione, cioè «la società naturale fondata sul matrimonio».

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