Il fine pena mai illegale? Il boss pentito era libero e faceva affari coi rifiuti

Ragusa La mafia c’è, non è stata cancellata con un colpo di spugna, come qualcuno pensa solo perché non si registrano le stragi del passato.

La mafia guarda al futuro con una capacità di riorganizzazione non indifferente ed è tra noi più di quanto non si immagini. Al sangue che, copioso, inondava i quartieri, per l’affermazione dell’egemonia o per regolare i conti, preferisce i soldi. Ne faceva a palate puntando, nel Ragusano, sul riciclo della plastica dismessa dalle serre.

Lo hanno scoperto le squadre mobili di Ragusa e Catania che indagavano da 5 anni, e adesso che hanno ricostruito dinamiche, gerarchia della consorteria criminale di stampo mafioso detta «stidda» e metodi di azione, hanno posto fine al business arrestando 15 persone tra capi, complici e faccendieri cui vengono contestati, ciascuno secondo le proprie responsabilità, l’estorsione pluriaggravata, l’illecita concorrenza con minaccia, le lesioni aggravate, la ricettazione, la detenzione e il porto di armi da sparo, il danneggiamento seguito da incendio, il traffico illecito di rifiuti aggravato, reati commessi con metodologia mafiosa.

Il capo dell’associazione, che aveva creato un’organizzazione ineccepibile in quanto a intimidazioni ai serricoltori e ai raccoglitori di plastica dei territori di Vittoria, Ragusa e Caltanissetta perché si rivolgessero a un’unica impresa, la «Sidi» della famiglia Donzelli (accusata di concorso esterno in associazione mafiosa), per lo smaltimento delle coperture in plastica, era un volto noto alle forze di polizia non solo per il curriculum che annovera qualcosa come 60 omicidi, ma anche per avere effettuato il percorso di collaboratore di giustizia.

Claudio Carbonaro, 60 anni, originario di Vittoria, è stato un pentito, ma forse solo quanto basta per sfruttare permessi e privilegi connessi a questa condizione ed essere di nuovo un uomo libero.

Del resto oggi la Consulta ritiene incostituzionale l’ergastolo ostativo, e se fosse per essa, non c’è bisogno di collaborare per essere premiati.

Al termine del percorso di collaboratore di giustizia, Carbonaro ha fatto ritorno dal 2013 a Vittoria, dove negli anni 80/90 aveva commesso gli atroci crimini per cui era stato condannato (associazione per delinquere di stampo mafioso pluriaggravata, omicidio volontario, occultamento di cadavere, furto, lesioni, rapina, ricettazione, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi, sequestro di persona, minaccia, armi clandestine, ed è già sorvegliato speciale e libero vigilato) e si è posto al vertice dello storico clan Carbonaro-Dominante. È lui ad avere organizzato e diretto l’associazione mafiosa «stidda» sgominata ieri con l’operazione «Plastic free».

I reati della stidda interessano tutti, non solo le vittime dirette, vessate per favorire la consorteria. Perché i fanghi del lavaggio dei teli dismessi dalle serre, unti di pesticidi e fitofarmaci, finivano interrati o dispersi nei terreni, a inquinare le falde acquifere e le colture.

Ma c’è di più. Bisogna andare all’origine dell’operazione. Era il 2014 quando la Procura distrettuale di Catania delegò le indagini alle squadre mobili di Catania e Ragusa dopo un sequestro operato a Roma dalla mobile di calzature contenenti materiali nocivi. Si ipotizzava l’esistenza di un’organizzazione dedita al traffico di rifiuti plastici in particolare teloni di copertura delle serre, acquisiti nelle province di Ragusa e Catania ed esportati in Cina. Qui il materiale serviva per fabbricare scarpe, che poi venivano importate in Italia. Emerse il grande interesse per la raccolta di questo materiale per un valore di svariati milioni di euro all’anno.

Carbonaro, grazie al suo «buon» nome e ai sodali di cui si è circondato ha ottenuto il monopolio del settore. Ha diretto l’associazione d’intesa con Giovanni Donzelli (pregiudicato) e con l’ausilio di Salvatore D’Agosta detto «turi mutanna» (pregiudicato) coordinando la raccolta della plastica svolta dai Minardi (anch’essi pregiudicati).

Sono 5 le aziende riconducibili agli indagati poste sotto sequestro per un volume di affari di 5 milioni di euro.

il giornale.it

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