Il flop di “Italia 5 Stelle” Poca gente alla festa e Casaleggio si nasconde

Due chilometri e mezzo. Questa la distanza tra la piazza pentastellata di Italia 5 Stelle e il cuore del potere del «governo del cambiamento».

Dal Circo Massimo, teatro della kermesse grillina, a Palazzo Chigi, campo di battaglia di un consiglio dei ministri decisivo per il futuro dell’esecutivo. Alla fine, la «pace armata» c’è stata. Lo ha annunciato lo stesso Luigi Di Maio, appena arrivato a Italia 5 Stelle, in serata, aizzando la folla al grido di «Onestà! Onestà!».

Tutto il corollario allestito dalla task force eventi del M5s ha il sapore di un ritorno al passato. Proprio nella giornata più difficile per la tenuta dell’alleanza con la Lega. Nei gazebo, le pareti sono tappezzate di storia grillina: dal primo V-Day di Bologna del 2007, con Grillo trascinatore indiscusso, la fondazione del Movimento due anni dopo, le prime elezioni regionali del 2010 con percentuali da prefisso telefonico, lo tsunami tour del 2013. Fino all’arrivo in Parlamento, alla fine della campagna elettorale di cinque anni fa.

Nel menù dei punti «ristoro» l’unica traccia di carne è nella pizza con la mortadella. C’è anche una scelta vegan friendly, tutto all’insegna del rispetto dell’ambiente. Con i punti distribuzione dei bicchieri plastic free e le fontanelle di acqua disseminate in tutto il Circo Massimo. Di Maio, quando sale sul palco dopo «tre ore di consiglio dei ministri», rivendica «il record di presenze, già dal sabato» ottenuto in questa edizione di Italia 5 Stelle. Per tutta la giornata, in verità, lo scenario è piuttosto desolante. È difficile trovare qualcuno che non abbia il badge con su scritto «stampa» oppure «parlamentare» o ancora «regionale» o «sindaco».

Nonostante la volontà di un ritorno alle origini «movimentiste», sul pratone romano vanno in scena riti tipici della politica tradizionale. Eletti locali che cercano di accreditarsi con gli onorevoli di Montecitorio e Palazzo Madama, futuri candidati alle Europee (così si definisce una signora, votazione online permettendo) che vanno a stringere le mani di deputati e senatori. Le Agorà, che dovrebbero essere spazi di partecipazione riservati al dibattito tra attivisti e consiglieri regionali, sono semivuote. L’unico vero «richiamo della foresta» delle origini è l’antipatia verso i giornalisti. La Repubblica, Il Giornale e Libero i più odiati.

E tra i capisaldi del Movimento del 2009, secondo le voci che si rincorrono, starebbe per crollare anche la regola del doppio mandato. Gli attivisti chiedono, i «portavoce» tentennano. «Di Maio non può smettere di fare politica» è il ragionamento esemplare delle alte sfere, pochi militanti sono d’accordo.

Prima dell’arrivo della squadra «ministeriale» guidata da Di Maio, l’unica star di giornata è Davide Casaleggio. Il figlio del fondatore, presidente dell’Associazione Rousseau, si fa vedere solo nel primo pomeriggio. Alle 15 interviene a un dibattito sul tema «Diventare cittadini digitali. Nuovi diritti, nuovi doveri», ma ieri si era già fatto vedere alla Camera accompagnato dal suo ex dipendente Pietro Dettori. Solite visioni sulla partecipazione e «il superamento della democrazia rappresentativa», si parla di «dialogare con le foreste e gli algoritmi». Con i giornalisti che lo inseguono all’interno e all’esterno del padiglione «Rousseau» nemmeno una parola. Il capo della Casaleggio e Associati scappa via dal Circo Massimo assediato da microfoni e telecamere. Poi, finito l’assalto dei cronisti, rientra nell’arena. Un paio di selfie, due chiacchiere con qualche attivista e via di nuovo. A chi domanda se si fida di Matteo Salvini risponde con un silenzio gelido. Giù il sipario.

IL GIORNALE.IT

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