“È stato in carcere per spaccio”. Bufera sul prete amico della Boldrini

Non è la prima volta che le vicende di padre Mussie Yosief Zerai attirano l’attenzione della stampa.

Era stato Fausto Biloslavo, dalle pagine di Panorama, a scrivere che “la faccenda della droga non è mai stata citata nelle biografie di Zerai, che pure avrebbe potuto giocare la carta della redenzione con l’abito talare”. Oggi, però, è La Verità a pubblicare in prima pagina due documenti che fanno riesplodere la bufera sul parroco.

Il don è ormai noto alle cronache italiane. Eritreo, nel 2015 è stato nominato al Nobel per la Pace. Attivo sul piano delle migrazioni, è finito nel registro degli indagati della procura di Trapani nell’indagine che tenta di scoprire la verità sulla Ong tedesca Jugend Rettet. L’accusa era di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Una sua fotografia assieme a Laura Boldrini l’ha reso “il prete amico” dell’ex presidente della Camera. “Fondatore e presidente dell’agenzia di informazione Habeshia, “il salvagente dei migranti” – spiegava Avvenire – offre assistenza telefonica a chi si accinge a partire, avvertendo le autorità quando imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo si trovano in difficoltà e hanno bisogno di un intervento di salvataggio”.

Ma ora a investire il fondatore del “salvagente dei migranti” è quanto pubblicato da La Verità. “Pare proprio – scrive il quotidiano diretto da Belpietro – che Mussie Yosief Zerai, prima di prendere voti e abito talare, sia finito in carcere, a Roma, nel 1994. E sia stato condannato a due anni di reclusione, con rito abbreviato, per concorso in detenzione ai fini di spaccio di 2,2 chilogrammi di hashish”.

La Verità cita due documenti a sostegno della sua tesi. “Il primo è datato 6 maggio 1994 – si legge – Ed è il verbale di udienza con il quale viene convalidato l’arresto di Yosef Zerai (che risulta nato il 26 febbraio 1975)”. Il difensore di Zerai in quel procedimento non si sarebbe opposto alla convalida dell’arresto ma avrebbe chiesto “per il suo assistito gli arresti domiciliari”. Il giudice , però, avrebbe ritenuto “la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, confermati dal ritrovamento della droga e dalle dichiarazioni di una donna che era con Zerai al momento dell’ arresto (e che non è citata ulteriormente nel verbale di udienza, ma il cui nome è presente nell’ altro documento dell’ inchiesta di cui La Verità è in possesso). E decise di lasciare Zerai dietro le sbarre”.

Un secondo documento citato sempre dal quotidiano riporta invece un riassunto dell’”esito della sentenza”. “Ci sono impressi il numero del registro generale delle notizie di reato (il fascicolo di Zerai è il 6939 del 1994) e quello del registro dell’ufficio del gip (7307/94)”, riporta La Verità. C’è però un’incongruenza: la data di nascita di Zerai nel secondo atto risulta diversa da quella contenuta nel primo documento, ovvero il 25 giugno 1975.

Secondo quanto riportato nell’atto, “Yosief Mussie Zerai – scrive La Verità – era imputato di ‘concorso in spaccio di sostanze stupefacenti di tipo hashish’ con una donna (molto probabilmente eritrea anche lei)”. Il giudice avrebbe dichiarato “Zerai colpevole, e per la scelta del rito abbreviato lo condanna a due anni di reclusione e a una multa di 10 milioni di lire. Nella parte finale della sentenza è anche riportato che ‘a pena espiata’ sarebbe stata ordinata l’espulsione di Zerai dal territorio italiano”.

Il parroco, contattato da La Verità, non avrebbe per ora commentato quanto riportato dal quotidiano. Ma avrebbe “negato tutto, ripetendo soltanto più volte ‘no’. A suo dire, non sarebbe vero niente”.

IL GIORNALE.IT

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