Che fine ha fatto la cura con il plasma iperimmune

Il plasma iperimmune, tanto dal punto di vista medico-scientifico quanto da quello mediatico, è stato uno degli protagonisti principali dell’emergenza coronavirus. Se non altro perché i toni speranzosi legati alle sperimentazioni in essere presso i nosocomi di Mantova e Pavia avevano prodotto più di qualche aspettativa tra molti cittadini. Ad un certo punto, per lo studio ufficiale, lo studio “Tsunami”, è stata scelta Pisa. Non senza stupore di chi aveva introdotto il plasma iperimmune nel dibattito scientifico. La cosa che può sembrare paradossale è che ora anche Pisa, in qualche modo, sembra lamentare qualche disattenzione da parte di chi è deputato ad accelerare. Comunque sia, l’Italia, in specie nelle settimane finali del lockdown, ha avuto la sensazione di aver trovato, se non un modo buono per risolvere la situazione dovuta al Covid-19, almeno un tampone, nel senso metaforico del termine, in grado di migliorare i quadri clinici di alcuni soggetti interessati dalla sindrome che sta sconvolgendo il pianeta. Anche perché si parlava di persone guarite. In qualche specifico caso, come riporta questo articolo de La Stampa, di decine di persone guarite.

Il “caso” De Donno

Nel corso di quel periodo (era maggio del 2020), abbiamo anche intervistato il professor Giuseppe De Donno, che ci aveva anche spiegato quale fosse il meccanismo della terapia: “Il donatore, che è un paziente guarito da malattia da coronavirus, in uno stato più o meno grave, dona 600 ml di plasma. Cosa vuol dire? Vuol dire che il paziente dona 600 ml di sangue. Noi restituiamo globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, ma tratteniamo la parte liquida del sangue, ossia il plasma che al suo interno ha, oltre ad alcune sostanze anti-infiammatorie, anche gli anticorpi che il guarito ha sviluppato contro il coronavirus”. Gli anticorpi vengono trasferiti nel corpo del malato, che avrebbe così qualche strumento in più per reagire agli effetti del Sars-Cov2. Lo pneumologo di Mantova ha utilizzato questo trattamento in funzione ed in favore di persone che avevano contratto il Covid-19. Durante questi mesi, sono nati gruppi in sostegno di De Donno, soprattutto sui social network. Almeno una porzione del Belpaese pensa che si debba continuare sulla strada che lo pneumologo ed altri hanno individuato. Ma è noto: è la scienza, con il contributo degli enti preposti, a decidere.

In contemporanea con lo sviluppo delle sperimentazioni è nato una sorta di “derby” con gli anticorpi monoclonali. Quasi come se una terapia escludesse l’altra. Il contrasto è stato più che altro comunicativo, per quanto il professor Roberto Burioni, una volta appresa la notizia sulla cura utilizzata per il quadro clinico di Donald Trump, abbia dichiarato – come ripercorso dall’Adnkronos – quanto segue: “Qualcuno dovrebbe spiegarmi perché a Donald Trump (al quale auguro pronta guarigione) stanno somministrando un cocktail di anticorpi monoclonali e non il plasma iperimmune che tanto ha glorificato fino a pochi giorni fa”. Se non fossimo all’interno di confini precisi – quelli scientifici – sembrerebbe quasi di raccontare una dialettica politica. Ma qual è, ad oggi, lo stato degli studi su questa tipologia di terapia? Una delle ultime risultanze era comparsa su Haematologica, una rivista scientifica. Il testo, firmato pure da De Donno, sosteneva una riduzione del tasso di mortalità assoluta pari al 9% dei pazienti.

Lo stato degli studi

Il divulgatore scientifico Gianluca Pistore, che abbiamo sentito per comprendere a pieno come stiano le cose, ha anzitutto sgomberato il campo dalle logiche di parte: “Il dibattito sul plasma iperimmune – esordisce Pistore – andrebbe condotto solo guardando le evidenze scientifiche, queste al momento non ci dicono che sia miracoloso, né che sia inutile”. Un argomento buono per chi sostiene che l’equilibrio abiti spesso in mezzo alle polarizzazioni. E ancora: “Uno dei migliori studi (questo) a riguardo è stato effettuato su un campione di 464 pazienti suddivisi in due gruppi. Ad un gruppo sono stati dati i migliori farmaci e il plasma iperimmune, mentre l’altro ha usufruito solo dei migliori farmaci, e niente plasma”. E l’esito? “Nel gruppo col plasma sono stati registrati 34 decessi, in quello senza plasma 31. Sostanzialmente non si vedono differenze ascrivibili alla terapia col plasma. Ma non corriamo alle facili conclusioni: nel somministrare il plasma non si è dosata la quantità di anticorpi neutralizzanti: si è semplicemente somministrato il plasma di persone guarite, che dunque non sembra essere risolutiva, mentre rimane aperta la possibilità di selezionare dai pazienti guariti chi ha una notevole quantità di anticorpi neutralizzanti, il che però richiede un aumento di costi e di lavoro”. Qualche conclusione? “Ad oggi non è possibile trarre conclusioni definitive, la scienza ha bisogno di tempo per studiare. Noi divulgatori dobbiamo essere molto attenti a comunicare ciò che viene scoperto senza esaltarci davanti a qualche iniziale buona notizia e senza abbatterci davanti ai primi risultati negativi”.

Il presunto boicottaggio

Uno dei problemi della cosiddetta terapia del “plasma dei guariti”, dunque, risiede nel fatto che non tutte le persone uscite dal tunnel del Covid-19 posseggano giocoforza gli anticorpi che sarebbero utili in questa terapia. E individuare i soggetti davvero in grado di migliorare la situazione del prossimo potrebbe non essere un’operazione semplice. La terapia del plasma iperimmune però – e questa è già una notizia di discreta portata – non può essere bocciata di netto. Oggi però questo tipo di “cura” sembra divenire, ogni giorno che passa, una strada meno battuta.

C’è chi ventila motivazioni politiche e chi ritiene che la terapia presenti possibili effetti collaterali che non possono essere omessi: potrebbero essere vere entrambe le radici del ragionamento.Di sicuro c’è che la direzione verso cui guarda la scienza medico-scientifica è un’altra. “Abbiamo ceduto la nostra sperimentazione ad Aifa e all’Istituto (quello “Superiore di Sanità”, ndr), sperando che – avendo carattere nazionale – potesse incontrare attenzione e adesione significativa, invece ci siamo trovati davanti ad uno scenario più complesso, definito da ritardi per i contratti tra l’Istituto e le Aziende sanitarie”, ha rivelato di recente il professor Menichetti, responsabile dello studio Tsunami per Pisa, a Radio24 . Tutto suggerisce che il plasma iperimmune, nel nostro Paese, sia stato ridimensionato. E lo stesso Menichetti ha aggiunto pure di pensare che, così facendo, l’Italia ha perso “un’occasione”.

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