“Siamo al confine, correte”. Migranti all’assalto dell’Italia

Cantone di Bihac (Bosnia-Erzegovina) – “Stiamo andando in Italia. Il confine croato è a poche centinaia di metri. A piedi fino a Trieste ci impiegheremo una dozzina di giorni” spiega la “guida” del gruppo di pachistani in cammino nel nord ovest della Bosnia.

Tutto attorno si espandono le colline degli oltre 200 chilometri di confine del cantone di Bihac con la Croazia.
I migranti illegali si fermano nella boscaglia davanti a uno spazio aperto nella foresta. “Questo è la frontiera. Adesso dobbiamo correre per non farci vedere dalle vedette della polizia croata o intercettare dai droni” ordina la guida pachistana, che si copre il volto con la mascherina anti Covid. La decina di clandestini in fila indiana, con zaini e viveri, fa uno scatto da centometristi in mezzo all’erba alta e noi dietro. Il gruppetto si infila nella boscaglia croata, ancora più fitta, ma è facilmente entrato nell’Unione europea. Ora viene la parte difficile. Asif, laureato a Lahore, fa segno di rimanere in silenzio per evitare di venire scoperti dalle pattuglie croate che di notte usano pure le camere termiche. La piccola colonna avanza in mezzo alla vegetazione e ogni tanto si abbassa per nascondersi fra il fogliame. Durante la marcia d’avvicinamento che è durata un giorno Asif ha raccontato degli altri tentativi andati a vuoto: “Siamo arrivati fino a Lubiana, ma ci hanno preso e riportato in Bosnia. Marciamo sempre nella “giungla” (la boscaglia) evitando i centri abitati. Ben presto finisci le scorte e siamo stati costretti a mangiare foglie con il ketchup. L’acqua era quella delle pozzanghere”. Le condizioni dei clandestiniPubblica sul tuo sito

Questa volta spera di farcela a percorrere il tragitto clandestino attraverso la Croazia e Slovenia per arrivare a Trieste o Udine, ma a un tratto il silenzio è rotto dall’abbaiare dei cani degli agenti croati che perlustrano il confine. Il gruppetto si sparpaglia e qualcuno decide di tornare indietro. A gambe levate corriamo verso la Bosnia con il ringhio dei cani alle calcagna.

“Fino ad oggi sono arrivati illegalmente in Friuli-Venezia Giulia oltre 4mila migranti, compresi minori non accompagnati veri o finti” dichiara l’assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti della Lega. Altri 8mila provano ogni giorno a partire dall’ “imbuto” bosniaco della rotta balcanica verso l’Italia. Molti provenienti dal Pakistan, Bangladesh, Afghanistan, ma pure Marocco e Algeria. Il Giornale ha seguito la rotta balcanica dalla Bosnia, spesso dimenticata e sottovalutata rispetto a Lampedusa.

“Non siamo terroristi, ma quando veniamo intercettati, la polizia croata ci riempie di botte. Rompono i telefonini e danno fuoco a zaini, sacchi a pelo e giacconi per evitare che ci riproviamo. Qualcuno è al ventesimo tentativo” spiega il giovane Asif. In apparenza il confine croato è aperto e non sorvegliato. A Bukovlje un inutile cavallo di Frisia con i colori di Zagabria sovrastato da un cartello rosso di Stop blocca il sentiero sulla frontiera. In altre zone ci sono sbarramenti in cemento, ma scavalcarli è un gioco da ragazzi. Se ti infili per 500 metri nella boscaglia trovi vestiti, bottiglie d’acqua, spazzolini da denti, anche un paio di auricolari, scatolette di tonno e carne, confezioni vuote di biscotti e sacchi neri dell’immondizia per ripararsi dalla pioggia. I bivacchi dei migranti, l’ultima sosta prima di passare illegalmente la frontiera ed entrare in Europa. Sulle colline non mancano i cartelli rossi che indicano i campi minati, ma il sospetto è che vengano messi anche dove non ci sono per intimorire i migranti, che comunque conoscono bene i passaggi sicuri. A Poljana, quattro case sperdute sul confine, Hata Janice Kaitsovic, ne ha viste di tutti i colori: “Le deportazioni in Bosnia con i croati che li bastonano e talvolta sparano in aria, ma pure i clandestini che entrano nelle abitazioni per rubare vestiti o si piazzano nelle case di chi lavora all’estero”. Per bloccare i passaggi dei guadi lungo la frontiera vengono gettati in acqua cocci di vetro così i migranti si tagliano i piedi. I migranti sulla rotta balcanica

Giorno e notte le strade che portano da Velika Kladusa a Bihac sono percorse da gruppetti o colonne di migranti, anche di cento persone illuminate dai fari delle automobili mentre camminano in fila indiana. “Ci hanno deportato stamattina, ma proveremo ancora fino a quando non arriviamo in Italia” assicura un migrante del Bangladesh assieme a una trentina di connazionali. Un altro affaticato, che si ripara dalla pioggia assieme a cinque amici sotto una specie di fermata dell’autobus spiega: “Veniamo dall’Iran e stiamo tentando the game (il gioco)” come viene chiamato il tragitto clandestino fino all’Italia.

Lungo i percorsi dei migranti i bosniaci hanno tappezzato di adesivi i cartelli segnaletici. Teschio e tibia incrociate con scritto in inglese e arabo “Game is over”, il gioco è finito, “immigrati tornate a casa!! Velika Kladusa non è più un posto sicuro per voi”. The gamePubblica sul tuo sito

Tutti utilizzano l’app maps.me, che funziona senza internet, per seguire il percorso del “gioco”. Yusuf, un marocchino che ha provato 12 volte a raggiungere l’Italia vuole andare a Milano assieme a Jawad con amici a Foggia e Mohammed che ha parenti a Massa Carrara. Sulle colline di Glinica cantano “I love Italia” e poi si infilano in un rudere dove attenderanno l’alba attivando l’app. Da una finestra senza vetri Mohammed mostra un puntino sulla mappa del cellulare indicando la foresta di fronte: “È il confine. Siamo a 400 metri dalla Croazia”.
Con i campi ufficiali verso la chiusura su pressione della popolazione esasperata i migranti bivaccano in fatiscenti edifici dismessi, nella foresta o nei ruderi sulle colline. Una casa abbandonata con i mattoni a vista è la “base” dei gruppi pachistani e del Bangladesh. I migranti dormono per terra avvolti dalle coperte e servono il “pranzo”, un pugno di riso ciascuno, sui sacchi della spazzatura usati come tovaglie. Un bengalese recita cantando il Corano e altri vanno a recuperare l’acqua in un pozzo, chissà se potabile.

Mohammed, professore siriano con i baffi rasati alla salafita, preferisce mettersi in marcia da solo con due zaini e sacco a pelo. “Sono un rifugiato – giura – Entro in Croazia per venti chilometri e poi chiamo un’organizzazione umanitaria per chiedere aiuto”.

Poche le famiglie che percorrono il difficile viaggio clandestino. Mamma, papà, neonato e nonno con gli occhi a mandorla degli Hazara afghani e un folto nucleo palestinese. La madre velata di sei bambini vorrebbe passare il confine con il passeggino.

Quattro marocchini con i piedi doloranti, appena respinti dai croati, la prendono con filosofia: “Bad life” esordisce il capetto allargando le braccia. Un altro, però, non ha dubbi: “Italia amore mio torneremo a provarci, se Allah vuole”.

Ha collaborato Ademir Veladzic

il giornale.it

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