Bonafede, l’ex deejay che ha mandato in tilt la Giustizia

“Mister Wolf” rischia di perdere la poltrona. Il voto di sfiducia nei confronti del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, potrebbe mettere in crisi la maggioranza.

Chi è il ministro Alfonso Bonafede

L’avvocato civilista, originario di Mazara del Vallo, che a 19 anni interrompe la carriera da vocalist nelle discoteche siciliane per andare a studiare Giurisprudenza a Firenze, è l’anello di congiunzione che tiene saldo il Conte-bis.

È capodelegazione del M5S nel governo da quando, nel gennaio 2020, Luigi Di Maio ha lasciato la guida del Movimento, ma è soprattutto l’uomo che ha portato Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. ‘L’avvocato del popolo’, infatti, è l’ex docente di diritto privato di Bonafede all’Università di Firenze. Ed è proprio nel capoluogo toscano che il giovane avvocato civilista, sposato sin dall’inizio degli anni 2000 con una dei soci del suo studio, Valeria Pegazzano Ferrando, muove i suoi primi passi in politica come militante dei meet-up fiorentini.

Nel 2009, l’anno della vittoria di Matteo Renzi, anche il 36enne Bonafede corre per la carica di primo cittadino di Firenze, ottenendo appena l’1,8% dei voti. Un bottino assai misero per l’ex ‘Deejay Foffo’ che non si perde d’animo e, in vista delle Politiche 2013, partecipa alle ‘parlamentarie’ grilline risultando, con 227 voti su 1.300, il più votato della Toscana. Una volta eletto alla Camera, diventa vicepresidente della commissione Giustizia ed è promotore di una legge sulla class action nonché primo firmatario di una proposta di legge sul ‘divorzio breve’ che confluirà nella norma approvata nel 2015. In poco tempo scala le vette del M5S entrando dapprima a far parte del gruppo di coordinamento dei comuni amministrati dai pentastellati e, poi, formando insieme a Riccardo Fraccaro il duo che avrebbe dovuto supportare il sindaco di Roma, Virginia Raggi, dopo la fallimentare esperienza del ‘mini-direttorio’.

Le gaffes di Bonafede

Alle politiche del 2018 viene candidato alla Camera nel collegio uninominale Toscana 01 dove, con il 19% si posiziona terzo, ma viene ‘ripescato’ nel collegio plurinominale Toscana 03. Lega ed M5S, dopo mesi di trattative, raggiungono un accordo sul nome di Conte il quale ricambia Bonafede nominandolo Guardasigilli. Da quel momento in poi ha inizio una serie interminabile di gaffes. Nel gennaio 2019 Bonafede gira e diffonde sui social un video sull’arresto di Cesare Battisti e viene subissato da critiche in quanto, con tale iniziative il ministro contravverrebbe all’articolo 114 del codice di procedura che vieta la “pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica”. Bonafede, insieme all’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, viene indagato per abuso d’ufficio, ma poi la procura di Roma archivia il caso.

Sempre nello stesso mese, parlando dall’Aula di Montecitorio nel corso della presentazione della relazione annuale al parlamento sull’amministrazione della giustizia, Bonafede con piglio deciso dichiara:“Non c’è bisogno di raccontare la corruzione; la corruzione si vede a occhio nudo, si respira nell’aria; quando cade un ponte, una casa, c’è sempre dietro una storia di mazzette e di risparmio sui materiali’’. E ancora: “Ogni volta che un giovane è costretto a scappare dal nostro Paese è perché lo considera un Paese corrotto’’. D’altronde cosa ci poteva aspettare dall’autore della legge Spazzacorrotti? Una norma, che come disse Raffaele Cantone, è “scritta così male che rischia di alimentare la corruzione” tanto che la Consulta l’ha dichiarata parzialmente incostituzionale.

Nel dicembre 2019 prima, ospite della trasmissione Porta a Porta, Bonafede dichiara candidamente: “I reati dolosi non sempre sono facilmente dimostrabili e quindi diventano colposi, con una conseguente riduzione dei tempi della prescrizione”. Un errore imperdonabile per un ministro della Giustizia che, accortosi dell’errore, si precipita a pubblicare un chiarimento su Facebook: “Sebbene i temi della giustizia siano tantissimi e tutti concentrati in queste settimane – scrive in un post -, alcuni addetti ai lavori preferiscono dedicarsi al taglio di 10 secondi di un’intervista serratissima durata 1 ora e 10 minuti per sottolineare l’oggettiva scorrettezza giuridica di una mia frase”. E ancora: “L’obiettivo era evidentemente quello di spiegare in maniera semplice ai cittadini le conseguenze (sulla prescrizione) della configurazione di una condotta in termini colposi o dolosi. D’altronde – prosegue il ministro -, ci sono da sempre interi processi che viaggiano sul confine tra dolo eventuale e colpa cosciente”.

Ed è proprio la prescrizione il tema di scontro che, prima dell’emergenza coronavirus, infiammava la maggioranza con i renziani che erano pronti a far cadere il governo su questo tema. Una riforma che, come ha scritto Salvatore Merlo sul Foglio, è stata definita “mostruosa” da Carlo Nordio, “uno strabismo legislativo” da Gherardo Colombo e che è stata tacciata di “populismo penale” dal presidente delle Camere penali Gian Domenico Caiazza. La riforma, così com’è stata concepita da Bonafede, impone il blocco della prescrizione in caso di condanna in primo grado, ma il ministro trascura il fatto che, come ha evidenziato il forzista Enrico Costa, molti processi vanno in prescrizione già nella fase delle indagini preliminari.

È il gennaio 2020 quando il ministro Bonafede ad Otto e mezzo afferma che “gli innocenti non finiscono in carcere”, generando l’immediata smentita degli altri ospiti che gli ricordano che dal 1992 al 2018 27 mila detenuti sono stati risarciti per essere stati ingiustamente carcerati. Davanti alle critiche pervenute anche dalla giornalista de La7 Gaia Tortora, figlia del conduttore Enzo che venne incarcerato per un errore giudiziario, Bonafede si è difeso: “Ho specificato che gli ‘innocenti non vanno in carcere’ riferendomi evidentemente e ovviamente, in quel contesto, a coloro che vengono assolti (la cui innocenza è, per l’appunto, ‘confermata’ dallo Stato)”.

Gli errori del ministro Bonafede

Ma il ministro negli ultimi tempi è finito nell’occhio del ciclone per aver commesso una serie imperdonabile di errori. Il primo è quello di aver sconfessato se stesso, inserendo nel decreto “Cura Italia” una sorta di ‘svuotacarceri’ in quanto ha dato la possibilità ai detenuti che avessero ancora 18 mesi di carcere di scontare la propria pena con i domiciliari. Uno ‘svuotacarceri’ che, come ha confermato il ministro, ha riguardato circa 6mila persone eppure, fino a quel momento, si era sempre detto contrario a questa “comoda scorciatoia”.

Decisamente poca cosa rispetto a quanto rivelato dal pm Nino Di Matteo nel corsodi una puntata di Non è l’arena in cui si parlava delle dimissioni di Francesco Basentini, il capo del Dap ritenuto responsabile di non aver impedito che venissero concessi i domiciliari ad alcuni boss come Franco Bonura e Pasquale Zagaria. Di Matteo sostiene che Bonafede, nel 2018, dopo avergli promesso la direzione del Dap, aveva improvvisamente cambiato idea, probabilmente per paura della reazione di alcuni boss mafiosi che si trovavano in carcere. Bonafede nega questa versione dei fatti, ma non si spiega perché, dopo le dimissioni di Basentini (inserito dopo pochi giorni come esperto in una delle task force del governo) non abbia chiamato proprio Di Matteo a svolgere questo delicato ruolo. Il ministro ha soltanto preparato un decreto che obbliga i magistrati di sorveglianza di rivalutare periodicamente la situazione degli scarcerati. “Nessuno può pensare di approfittare dell’emergenza sanitaria determinata dal Coronavirus per uscire dal carcere”, dichiara Bonafede che avrebbe forse potuto uscire da una situazione così delicata nominando finalmente Di Matteo a capo del Dap.

Come successore di Basentini, invece, il Guardiasigilli nomina Bernardo Petralia che, ora, rischia di dover lasciare il suo incarico a causa di alcune conversazioni compromettenti avute con il magistrato Riccardo Palamara. Ma quelle di Basentini non sono le uniche dimissioni illustri. Pochi giorni fa, anche il capo di Gabinetto del ministero della Giustizia Fulvio Baldi ha lasciato il suo incarico, ufficialmente per motivi personali, ma, in realtà, anche in questo caso hanno pesato alcune conversazioni con Palamara intercettate dalla Guardia di Finanza e pubblicate dal Fatto quotidiano. A dicembre, infine, si era dimesso il capo degli ispettori del ministero, Andrea Nocera, finito sotto indagine per corruzione.

il giornale.it

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