La grande trappola tedesca

E alla fine vince la Germania. Non è un mistero, del resto. Come nel calcio valeva la frase di Gary Lineker “22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”, la stessa cosa può applicarsi in sede europea per ben più grandi problemi. L’Unione europea è quel gioco in cui 27 Stati rincorrono un accordo alla fine vince la Germania.

Una frase che può essere sicuramente ripetuta dopo l’Eurogruppo di questa notte, in cui alla fine, dopo lo stallo durato giorni, la vittoria la incassa Angela Merkel la quale è riuscita prima a defilarsi come leader del gruppo dei falchi – evitando di essere riconosciuta quale guida dei “cattivi” – per poi prendere il sopravvento trattando direttamente con Emmanuel Macron e rassicurando i rigoristi del Nord Europa. Una strategia perfetta in cui la Merkel ha saputo interpretare perfettamente il ruolo del regista in ombra mentre altri lottavano al suo posto per arrivare a un’intesa ottimale per gli interessi tedeschi. I Paesi Bassi, e non la Germania, hanno rappresentato gli alfieri dell’austerità europea mandando avanti la linea del rigore che comunque Berlino non ha mai rinnegato. L’Italia ha provato a fare la voce grossa ma alla fine ha interpretato semplicemente il contraltare ideale (e idealista) che però, in poco tempo, è stato sostituito dalla Francia, vero e unico interlocutore privilegiato della Germania. L’Unione europea di è disciolta come neve al sole benedicendo l’accordo più affine agli interessi tedeschi. E tutti, dal gruppo Visegrad alla Spagna, passando per la nuova Lega anseatica e l’Italia, alla fine hanno benedetto l’intesa.

Un gioco ad incastro perfetto in cui a prevalere sono quattro elementi cristallini. Gli eurobond, elemento ritenuto indispensabile da Giuseppe Conte, sono spariti da qualsiasi menzione nel testo finale dell’Eurgruppo. E il Mes, che Conte aveva detto di non voler accettare, è invece ben presente con la precisazione che sarà senza condizionalità solo per spese sanitarie legate direttamente o indirettamente all’emergenza coronavirus. Viene dato ampio spessore al ruolo della Bei, la Banca europea per gli investimenti, che casualmente è guidata da un tedesco. E il Sure, voluto dalla tedesca (ed ex ministro di Frau Merkel) Ursula von der Leyen, campeggia come pilastro dell’accordo. Questa la sintesi del documento finale che sarà poi discusso dai leader europei. Ed è una sintesi che rappresenta anche in maniera evidente la realtà europea. La Germania, volenti o nolenti, decide le sorti dell’Unione europea. E lo fa in tandem con una Francia che di fatto ha ottenuto anche lei due vittorie non di poco conto: la leadership del fronte euro-mediterraneo, che ha delegato di fatto Macron a discutere con i rigoristi, e in più anche l’idea di base del Recovery Found che piaceva a Macron. Tanto è vero che Bruno Le Maire, ministro francese dell’Economia, è stato non a caso uno dei più entusiasti a fine Eurogruppo esultando per un piano “senza precedenti”.

E fa bene a esultare, Le Maire. Perché in questo Eurogruppo si è palesato quell’asse franco-tedesco che da subito era chiaro agli occhi degli osservatori più attenti. Coperto solo per giochi propagandistici o di potere dallo scontro tra Italia e Olanda, entrambe pedine di un gioco più grande di loro. Mark Rutte il suo ministro delle Finanze Hoekstra hanno mantenuto la linea della durezza finché la Germania ha capito che i coronabond sarebbero usciti dal tavolo dei negoziati, tanto è vero che poi la Merkel ha sentenziato la sua contrarietà agli eurobond e il ministro Olaf Scholz ha “tirato le orecchie” agli olandesi insieme a Le Maire, quasi a voler dire a tutti che l’accordo si doveva trovare e il punto di rottura non si sarebbe raggiunto.

L’Italia, con Gualtieri e Conte, è stata invece il grimaldello dell’area mediterranea (con Parigi guida-ombra) per provare a scucire un accordo il meno possibile legato ai rigori del Nord, ma è soprattutto servita a Parigi per palesare l’inadeguatezza di Palazzo Chigi nell’essere leader di un nuovo blocco europeo. Roma non ha ottenuto nulla, quello che ha ottenuto è stato dovuto ai piani francesi. E la Spagna, presunta alleata di Conte in questa trattativa, si è ben guardata dal gridare proclami anti-tedeschi, ben consapevole, Pedro Sanchez, di potersi ritagliare un po’ di spazio in Ue.

Così in poche ore, il grande bluff franco-tedesco ha ottenuto il suo risultato. Italia isolata e tutto sommato addomesticata – grazie a un Mes senza condizioni e una breve citazione di una implicita mutualizzazione del debito del Fondo-, un’Europa incardinata sull’asse sigillato ad Aquisgrana un anno fa, esclusione di nuovi blocchi, gioco di specchi con l’Olanda, che ha comunque ottenuto il successo di essere diventata la spina nel fianco dell’Ue dopo la fuga del Regno Unito con Brexit. La Merkel può cantare vittoria: Bruxelles resta, ancora una volta, il suo giardino.

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