Immigrazione, Renato Farina e la dritta a Giuseppe Conte: come deve ricattare l’Europa

Il nostro premier Giuseppe Conte arriva a Bruxelles per il Consiglio europeo, che dura fino a domani. Auguri presidente, ma anche un po’ di vitamine, please. Lì si parrà la tua nobilitate. Vediamo di che si tratta.

In Belgio si radunano i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi dell’Unione. Il Consiglio europeo non è un luogo di esibizioni culturali e di salamelecchi stile Versailles, bensì è il patibolo dove si tagliano le teste dei popoli o, più raramente, gli si concede la grazia. È il massimo organo decisionale, rispetto a cui il Parlamento europeo è una succursale del Rotary specializzata nel pettinare bambole. Nel Consiglio europeo di questo giugno 2018 poi le sedie scottano sul serio. Si deciderà infatti la linea dei 27 Paesi Ue sull’emigrazione, e questo è certo il punto che brucia di più. Ce ne sono altri non meno importanti, anche se paiono un po’ teorici, solo perché l’effetto delle scelte è a scoppio ritardato: parliamo dei criteri sulla base dei quali le banche sono in regola oppure no, falliscono o sono autorizzate a dare credito (la cosiddetta “unione bancaria”). Non proprio roba da niente.

IL MURO DEL NORD
Conte, confessando una certa emozione da esordiente, ha spiegato ieri ai parlamentari di Camera e Senato cosa proporrà e per cosa lotterà nell’interesse dell’Italia. La mozione con i suoi intendimenti è stata votata tra gli applausi della maggioranza, con l’astensione cordiale di Forza Italia e Fratelli d’Italia, e con il voto contrario assai minoritario della sinistra. Meritano un giudizio disincantato: belle parole. Sia quelle pronunciate sia quelle messe per iscritto. A noi però paiono buone per una lettera a Babbo Natale. Meravigliosa nelle intenzioni, con i punti e virgola, svolazzanti e messi al posto giusto. Babbo Natale darà una carezza a Conte. Ma niente doni, solo carbone, o al massimo accondiscendenza e assicurazioni per le prossime calende greche. Il fatto è che Babbo Natale parla tedesco, sta molto a Nord, assai lontano dalle rotte dei migranti. Si fa i cazzi suoi. Per ottenere impegni immediati, chiavi in mano, stante il rapporto di forza che ci penalizza, bisogna essere pronti a strappargli la barba.

Per questo, nel nostro piccolo, mentre sta iniziando il Consiglio europeo, ci permettiamo di dare al premier Conte un consiglio molto italiano, forse volgare, magari provinciale, ma pratico. Metta tra parentesi, anzi dimentichi proprio la qualifica di professore, rinunci ai mirabili ghirigori sintattici che sono strascichi luccicanti della sua carriera accademica, e che anche ieri ha esibito a Palazzo Madama e a Montecitorio. L’abbiamo ammirata, ma un po’ anche compianta. Se va con queste semplici armi da damerino la fregano, e soprattutto ci fregano. Non basta neppure che batta i proverbiali pugni sul tavolo: con quelle mani candide che si ritrova, rovinerebbe il lavoro dell’estetista. Usi invece l’arma pesante del do tu des. Si chiama ricatto? Trovino gli altri le parole, noi lo chiameremmo semplicemente buon senso supportato dalle cannoniere che i trattati e le regole dell’Unione europea mettono a disposizione in piena legalità.

Solo così il programma del nostro governo farà un po’ di strada. I dieci capitoli presentati dal premier derivano da un postulato di evidenza palmare: i confini italiani sono i confini dell’Europa. Da lì deriva per logica il resto. E cioè. La difesa dei confini italiani deve essere europea. I migranti che partono per l’Italia partono per l’Europa. L’Italia è stanca di prendersi lei oneri ormai insopportabili. Tradotto: visto che solo il 7 per cento dei migranti ha diritto all’asilo, li si controlli in Africa, in campi finanziati dall’Europa con adeguate sovvenzioni agli Stati beduini, arabi, magrebini che li accettano. In quegli “hot spot” si verifichi chi ha diritto e chi no, e si smistino i candidati idonei all’asilo in tutta Europa, superando il regolamento di Dublino che ci condanna a tenerceli tutti. Sarebbe garantita in tal modo sia la sicurezza dei profughi veri, trasferiti senza usare «carrette della morte» (le ha chiamate così, Conte), sia quella degli italiani. Chi tra i migranti invece non ha le carte in regola (il restante 93 per cento) venga rimpatriato. Questo comporta investimenti per garantire sviluppo all’Africa, così da «aiutarli a casa loro». Perfetto. Un programma da baciare sulla bocca chi lo ha scritto.

Un momento, però. Perché dovrebbero dirci di sì, i Paesi del Nord? Perché sono buoni? Figuriamoci.

Stesso discorso sulle questioni bancarie. Il progetto franco-tedesco prevede che le banche non possano avere più di una certa percentuale di buoni del Tesoro, al di sopra della quale non sono conteggiati come indice di solidità. Invece i derivati, che gonfiano di vermi la pancia di Deutsch Bank e altri istituti specie tedesche e francesi, sono trattati come oro. Un’indecenza, cui opporsi.

Dire di no, votare contro se non ci sono le proposte italiane? Certo, ovvio. Ma tutto questo non cambierebbe nulla nella sostanza. Infatti sulle direttive si decide a maggioranza, non esiste il diritto di veto. C’è un’arma che durante le discussioni Conte può posare sul tavolo, e che – guarda un po’ – è stata suggerita dalla componente più moderata della coalizione di centrodestra, Forza Italia, per bocca di Mariastella Gelmini. Si tratta del citato «ricatto»? Per una volta, impariamo qualcosa da Machiavelli.

 

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