“Prima vittima per virus? Mio padre, non numero È colpa dei protocolli”

Spesso in questi giorni si parla di vittime da coronavirus etichettandole solo con dei numeri. Vittima numero uno, numero due, tre, quattro, e così via.

Senza pensare alla loro storia, alla loro vita prima della morte. Vanessa Trevisan, 45 anni, è la figlia di Adriano Trevisan, tristemente conosciuto come appunto la vittima numero uno del coronavirus in Italia.

Ha voluto raccontare a la Repubblica, chi era il suo papà: “Adriano Trevisan non è un numero, non è la prima vittima italiana del coronavirus, non è un nome e un cognome sul giornale. Adriano Trevisan è mio papà. È il marito di mia madre Linda. È il nonno di Nicole e di Leonardo”. Usa ancora il presente, come forse è giusto che sia. Il 78enne è deceduto venerdì scorso, 21 febbraio, all’ospedale di Schiavonia, in Veneto. Sulla sua morte la procura di Padova ha avviato un’inchiesta. Vanessa è stata sindaco di Vò. Adesso, per quattordici giorni, si trova in quarantena insieme a sua mamma, entrambe sono risultate positive ai tamponi. Ha raccontato al giornalista chi era il suo papà, un leone allegro, come lo ha definito lei stessa. Con la carnagione scura che gli aveva valso il soprannome de “il moro”.

Amava pescare e ascoltare l’opera

Amava uscire, anche da solo, era autosufficiente e spesso andava all’Arena di Verona per ascoltare le opere liriche, la sua grande passione. Ha costruito mezza provincia di Padova grazie al suo lavoro, una ditta edile insieme a quattro amici. Non amava viaggiare, gli bastava restare a Vò, giocare a carte con i suoi conoscenti al bar, andare a pescare ogni tanto, altra sua grande passione. Alla mamma di Vanessa, Linda, non aveva fatto fare neanche il viaggio di nozze. Tutto quello di cui aveva bisogno era lì, in paese: sua figlia, la moglie, i suoi nipotini e i suoi hobby. Adriano parlava spesso di politica, lui era “comunista fino all’osso! Io la penso in modo totalmente opposto e infatti facevamo certe discussioni a tavola. Poi però arrivava Nicole, mia figlia che ora ha 13 anni, e lui si perdeva. La chiamava eapiccoa , in dialetto veneto. Prima di Nicole ero io la sua eapiccoa . Siamo una famiglia molto unita. Vorrei che mio padre fosse ricordato per come è vissuto, non per come è morto”.

Vanessa si scaglia anche contro chi, ogni giorno, parlando del suo papà e delle altre vittime ricorda la loro età, usandola quasi come un motivo della loro morte. Erano anziani, sì, ma il loro anno di nascita non deve far sembrare la loro morte meno importante. Adriano, cardiopatico e debilitato si è sentito male giovedì 13 febbraio e il suo medico di base, a quanto racconta la 45enne, non è neanche andato a visitarlo. Era solo una banale influenza. Adriano però è morto e adesso la procura di Padova ha aperto un’inchiesta per capire se vi siano stati ritardi nella diagnosi. Domenica, giorno del suo compleanno, è stato ricoverato all’ospedale di Schiavonia. Iniziano le domande per capire come si sia potuti arrivare a quella infiammazione ai polmoni che non gli permetteva di respirare. Nessun viaggio all’estero, nessun uso di fertilizzanti per curare il giardino. Nulla.

Il tampone per il coronavirus non era previsto

Come raccontato da Vanessa, “la dottoressa che seguiva il caso ci diceva di non poter fare il test per il virus perché il protocollo non lo prevedeva per pazienti che non erano tornati dalla Cina, o non avevano avuto contatti con soggetti a rischio”. Giovedì 20 però la dottoressa è riuscita a fare il tampone al paziente che il giorno seguente è risultato positivo. La figlia ha voluto ringraziare tutto il personale medico che ha avuto in cura il suo papà, ricordando che hanno provato a rianimarlo per oltre 40 minuti. Vanessa desso è a casa con la sua mamma, in quarantena, non hanno né febbre, né tosse. Aspettano, unite dal dolore per la perdita di Adriano, marito e padre. Il tampone non era previsto nel protocollo.

il giornale.it

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