L’abbraccio fra Papa e islam non fermerà la guerra santa dei musulmani

Che la visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti sia stato un fatto storico è innegabile, e certamente il Documento sulla fratellanza umana che Papa Francesco ha firmato insieme al grande imam di al-Azhar segna un passaggio importante nel rapporto fra cristianesimo e islam.

Ma se tale evento si può sperare avvii e incoraggi un processo di riforma all’interno del mondo islamico, è probabile che invece nel mondo cattolico occidentale abbia l’effetto collaterale di portare ancora più confusione e pericolose illusioni. Non per l’evento in sé ma perché a proposito di rapporti con l’islam e di dialogo interreligioso c’è già diffusa una notevole confusione mista a ignoranza.

Prova ne è quanto accaduto recentemente nella parrocchia milanese di Santa Maria di Caravaggio, con un imam chiamato nella chiesa-santuario per spiegare Gesù visto dall’islam. Invece che impegnarsi nell’evangelizzazione (e prima ancora a catechizzare i cattolici) i parroci cominciano a «coranizzare» le chiese. E non è certo un caso unico: di corsi di islam in parrocchia se ne sono già svolti vari in giro per l’Italia.

Ma il discorso viene da lontano: basti ricordare cosa accadde dopo la barbara uccisione in Francia, ad opera di un «soldato dell’Isis», di padre Jacques Hamel il 26 luglio del 2016, mentre celebrava la messa nella sua parrocchia in Normandia. Molte comunità musulmane presero le distanze da quell’attentato e vollero fare un gesto di solidarietà verso i cattolici. Così la domenica 31 luglio in tantissime chiese, delegazioni di comunità islamiche furono fatte partecipare alle messe e in molti casi furono lette preghiere islamiche durante la messa. Ci furono molte polemiche: non si doveva forse prevedere di organizzare momenti di incontro e di scambio di solidarietà in luoghi consoni e al di fuori delle celebrazioni liturgiche? Certo che sì, ma anche tra tanti preti il significato della messa come partecipazione al sacrificio di Dio che si è fatto carne ed è morto in croce si è perduto per lasciare spazio a una messa ridotta ad assemblea, allo stare insieme.

Ora, si può stare certi che l’incontro del Papa con alcune autorità islamiche e tutta la retorica sul dialogo interreligioso farà da moltiplicatore per queste iniziative, tanto più che ricorrono gli 800 anni dell’incontro di San Francesco con il Sultano Malik al Kamil a Damietta, evento pluricitato in questi giorni. E infatti già dai commenti si nota un tale entusiasmo per «la nuova era di relazioni islamo-cristiane», per la «luna di miele tra islam e cristianesimo», che si arriva perfino ad esaltazioni acritiche dei regimi islamici. È una ubriacatura molto pericolosa che non fa i conti con la realtà. A cominciare dal famoso incontro di San Francesco con il Sultano, di cui si dimentica un tratto essenziale: Francesco desiderava la conversione del Sultano e dei Saraceni. In modo pacifico sì, disposto al martirio sì, ma sempre avendo chiaro quello scopo. Che non era costruire la pace nel mondo, come si intende invece oggi il dialogo interreligioso e come più volte è stato ripetuto in questi giorni.
Inoltre, come San Francesco ebbe comunque la possibilità di imbattersi in un leader islamico «aperto» e curioso, che non diede retta ai suoi saggi che chiedevano di far fuori subito il fraticello, così Papa Francesco ha avuto la possibilità di imbattersi in un leader islamico illuminato come Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario degli Emirati Arabi, vero artefice della grande conferenza sulla fratellanza umana cui ha partecipato il Papa. È lui, sposato con una cristiana, religioso devoto e dedito a promuovere la tolleranza nel suo paese, il personaggio chiave di tutta questa vicenda, oltre ovviamente al grande imam di al Azhar. Ma questo non è l’islam nel suo complesso, tanto più che i musulmani non hanno una autorità unica: un imam, un ayatollah, un ulema rappresentano soltanto quelli che intendono seguirlo. Non è per sminuire il significato di quel che è accaduto negli Emirati, ma per metterlo in un contesto realistico. A dimostrazione che il dialogo non può essere con l’islam, ma con gli islamici, quelli che sono disponibili.

Tanto più che gli stessi Emirati, pur essendo una felice eccezione nel contesto mediorientale, sono comunque lontani da una vera libertà religiosa. Perciò quanto questo incontro e il Documento sulla fratellanza cambieranno le cose nel mondo islamico, sarà tutto da vedere. Anche perché questa apertura ha un importante retroscena politico: gli Emirati, insieme all’Arabia Saudita, stanno cercando di contrastare i paesi islamici (Qatar in testa) finanziatori del terrorismo e dei Fratelli musulmani, sicuramente l’organizzazione internazionale islamica più potente. Non per niente il viaggio del Papa nella penisola arabica ha lasciato molto freddi proprio Qatar, Fratelli Musulmani e, ovviamente, la tv al Jazeera (del Qatar). Si deve dunque aver presente che sono proprio da Qatar e Fratelli musulmani che arrivano i fondi e la gestione di moschee e centri culturali che radicalizzano i musulmani presenti in Europa. Si illuderebbe chi pensasse che il Documento sulla fratellanza cambi l’atteggiamento di comunità islamiche che in Italia e in Europa hanno tutto in mente fuorché l’integrazione. E nel frattempo non bisogna dimenticare che la causa principale di persecuzione dei cristiani nel mondo è l’islam, come hanno ribadito i due recenti rapporti di Aiuto alla Chiesa che Soffre e di Open Doors: in ben 32 paesi i cristiani sono costretti a subire le violenze e le prevaricazioni delle comunità islamiche. Si può ben sperare che il passo compiuto dal Papa e dal grande imam di al Azhar possa essere seguito da altri passi che nel tempo migliorino le condizioni dei cristiani, ma nel migliore dei casi sarà un processo molto lungo. E intanto il rischio concreto è che sulle ali dell’entusiasmo per il dialogo interreligioso, i cristiani europei dimentichino i loro fratelli perseguitati, più ancora di quanto già accade oggi.

Fonte: ilgiornale

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