Brexit, smascherate le menzogne di Ue e sinistra: l’economia Gb vola e per noi non cambierà nulla

La Brexit ormai è fatta. Il momento è storico, perché ha conclamato il fallimento dell’Unione europea. Dopo il via libera del Parlamento europeo e del Consiglio, dopo quaranta mesi di negoziati e ben tre proroghe. Alle 24 di domani, nella notte tra venerdì e sabato, il Regno Unito sarà uno Stato terzo, uscendo dall’Ue dopo 47 anni. Dopo mesi di minacce a Londra da parte di Bruxelles e catastrofiche e false previsioni economiche, la verità emerge. Menzogne e fake news peraltro propalate per tutta la campagna elettorale per il libero voto sulla Brexit. E la verità è che la Gran Bretagna, che secondo la sinistra sarebbe dovuta finire in rovina, è più solida che mai. Che per gli stranieri nel Regno Unito, e in particolare per gli italiani, non cambierà nulla. Anzi, cambierà in meglio, perché con una Inghilterra più ricca, aumenteranno i posti di lavoro e gli interscambi commerciali. Insomma, la Ue andò per suonare e fu suonata da Johnson e Trump. Bruxelles infatti aveva tentato di ricattare Londra con la minaccia di fantomatici dazi. Che poi si è dovuta rimangiare in tutta fretta dopo che Trump promise un grande accordo commerciale con Londra.

La Brexit fa volare l’economia inglese

In pratica, il rischio era che l’Inghilterra chiudesse ai prodotti comunitari se la Ue avesse insistito troppo. E allora addio vino, Mercedes, Peugeot e compagnia. Come si fa a essere così stupidi da rischiare i contingerntamento in un Paese di 80 milioni di agiati cittadini? Però neanche questa dura lezione ha insegnato nulla alla Ue. Subito dopo il trionfo dei brexeteers infatti Bruxelles avrebbe dovuto chiedersi in cosa aveva sbagliato. Avrebbe dovuto chiedersi i motivi per questo referendum inglese. Invece, anziché mettersi in discussione e fare autocritica, ha iniziato scompostamente a minacciare e a insultare. E il risultato è che ora la Ue si trova senza uno dei membri più importanti, che se ne è andato sbattendo la porta. “Il Regno Unito, ha detto Nigel Farage, non si fa imporre la sovranità da nessuno”. Sono passati tre anni  emezzo dal referendum vittrioso e nessuna delle cupe previsioni di tanti bugiardi si è avverata.

Ritiro in campagna per il gotha della Ue

Oggi i presidenti di Commissione Europea, Consiglio Europeo e Parlamento, Ursula von der Leyen, Charles Michel e David Sassoli, si riuniscono nella ex casa di campagna di Jean Monnet, a ovest di Parigi. Per consultarsi sul futuro dell’Europa, in particolare in vista della Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe delineare il percorso per il rilancio del fantomatico progetto democratico europeo. Una dichiarazione congiunta è attesa per domattina davanti al Parlamento Europeo a Bruxelles. L’Unione europea, per colpa sua, ora perderà uno degli Stati membri più grandi, una potenza nucleare che ha un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ennesimo danno per Bruxelles: l’Unione passerà da due ad uno, quello della Francia. Nella pratica per ora dovrebbe cambiare poco, poiché inizierà il periodo di transizione, che durerà fino al 31 dicembre 2020, a meno che il Regno Unito non chieda una proroga di uno o due anni, ma il premier Johnson lo ha già escluso.

La Ue terrorizzata dalla Brexit piagnucola: “Ora troviamo un accordo”

Il tempo a disposizione per trovare un accordo commerciale è poco. “A meno che non venga presa una decisione di proroga prima del primo luglio 2020, il periodo di transizione non durerà più di 11 mesi”, ricorda Verhofstadt. Undici mesi che in realtà sono di meno. Dato che il negoziatore Michel Barnier avrà probabilmente il mandato negoziale verso la fine di febbraio e che l’accordo commerciale di massima dovrebbe essere concluso entro l’autunno, per permettere la ratifica. Solo Angela Merkel ha affermato con chiarezza che la Brexit è un “campanello d’allarme” per l’Ue, che dovrà affrontare la “concorrenza” del Regno Unito. Tanto più che l’unità dei 27, che finora ha retto alla luce della barricata per quanto concerne le modalità del ritiro, sarà più difficile da mantenere quando si tratterà di negoziare sugli interessi concreti. Lo ha ammesso persino la faziosa Von der Leyen:  “C’è pochissimo tempo” per negoziare un accordo commerciale. “Se non riusciremo a chiudere un accordo entro la fine del 2020 – ha detto ancora – avremo davanti a noi un’altra situazione sull’orlo del precipizio”.  Proprio come quella che si sarebbe verificata con una Brexit senza l’approvazione dell’accordo di ritiro. “Rule Britannia” ancora una volta.

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