La Trenta si difende: “L’alloggio? Riassegnato a mio marito”

Un appartamento di rilievo nel quartiere San Giovanni. Un’abitazione che non dovrebbe appartenerle. Parte tutto da qui. Da un tema che fa riflettere e a cui non mancheranno risvolti politici. Elisabetta Trenta, ex ministro a cinque stelle della Difesa, ha pubblicato su Facebook una lettera inviata poi al Corriere della Sera dopo l’inchiesta firmata da Fiorenza Sarzanini in cui si parla di un appartamento a Roma, ricevuto ingiustamente dal ministero quando era al governo.

E che l’esponente grillina avrebbe mantenuto anche dopo aver lasciato il suo incarico. A quanto dice la donna nulla ci sarebbe di male, ma i riflettori le restano puntati dritti in faccia. A riguardo non può non essere citata anche l’inchiesta pubblicato ieri da Il Giornale in cui si raccontava del passato della Trenta nel mondo degli 007. Questo prima che diventasse parte dell’esecutivo gialloverde.

Ma partiamo dall’imbarazzo nel Movimento 5 Stelle per il caso dell’alloggio all’ex ministra. La Trenta non ha restituito infatti la casa affidatale nel centro di Roma per coprire il suo incarico a Palazzo Baracchini. Il Movimento, che della battaglia contro i privilegi della politica ha fatto una delle sue ragioni fondanti, adesso si trova a dover rispondere di un caso alquanto strano. E le stranezze riguardano sia il mantenimento dell’alloggio che l’iter per l’assegnazione.

Trenta spiega, tuttavia, di non aver lasciato l’appartamento in quanto è stata la stessa amministrazione a riassegnarlo al marito che, avendo “un incarico di prima fascia” ha diritto all’assegnazione di un alloggio del medesimo livello. Uno come quello che le era stato assegnato. Andare in un altro, specifica Trenta, avrebbe aggravato di ulteriori spese lo Stato.

La lettera

“Gentilissima dottoressa Sarzanini, con meraviglia ho letto l’articolo di questa mattina. Ciò che non mi spiego è perché una giornalista seria come lei, l’ho sempre rispettata, prima di scrivere non senta la fonte principale. Comunque sapevo che ieri aveva chiesto il mio numero e io ho autorizzato a fornirglielo, ma ha scritto prima di ascoltarmi. Non importa. Le spiego lo stesso”, scrive l’ex ministra pentastellata. Che poi continua: “Da ministro ho chiesto l’alloggio di servizio perché più vicino alla sede lavorativa, nonché per opportune esigenze di sicurezza e riservatezza. L’alloggio è stato assegnato ad aprire 2019, seguendo l’opportuna e necessaria procedura amministrativa, esitata con un provvedimento formale di assegnazione da parte del competente ufficio”.

Quando ha lasciato l’incarico, avrebbe avuto, secondo regolamento, tre mesi di tempo per poter lasciare l’appartamento. Ma il termine non sarebbe ancora scaduto (scadenza tre mesi dal giuramento del nuovo governo, vale a dire 5 dicembre 2019). “Come è noto – continua Trenta – mio marito è ufficiale dell’esercito Italiano con il grado di maggiore e svolge attualmente un incarico di prima fascia, incarico per il quale è prevista l’assegnazione di un alloggio del medesimo livello. Non a caso a me non era stato concesso un alloggio Asir (cosiddetto di rappresentanza) ma un alloggio Asi (di prima fascia). Pertanto, avendo mio marito richiesto un alloggio di servizio, per evitare ulteriori aggravi economici sull’amministrazione (a cui competono le spese di trasloco, etc.), è stato riassegnato lo stesso precedentemente concesso a me, previa richiesta e secondo la medesima procedura di cui sopra”.

Poi l’ex ministra si rivolge ancora alla giornalista del Corsera: “Le sarei grata se volesse pubblicare questa mia. Grazie. Cordiali saluti”. Trenta aggiunge su Facebook: “Questa è la lettera da me inviata alla giornalista, strumento di qualcuno che da due giorni mi attacca. Mi chiedo il perché, ma intanto credo che sia giusto chiarire. Buona domenica a tutti!”.

Per chiudere il cerchio non è possibile non parlare di ciò che avviene prima e che è utile sottolineare. Elisabetta Trenta ha un marito, Claudio Passarelli, maggiore dell’esercito. Entrambi hanno una casa di proprietà nella capitale: quartiere Pigneto. La prassi vuole che quando un ministro, già proprietario di un immobile a Roma, assume l’incarico in un dicastero, i militari mettono in sicurezza la stessa casa, si assicurano che gli standard di protezione siano funzionanti e la vita domestica prosegue più o meno come prima dell’investitura dal Capo dello Stato.

Loro avrebbero chiesto un nuovo appartamento, nonostante la proprietà di un altro immobile nella città eterna. C’è da chiarire poi come la coppia sia potuta entrare in graduatoria, visto che tra i requisiti c’è quello di non avere un’altra abitazione nel comune dove si risiede per svolgere il proprio incarico per la Difesa. Il cortocircuito è tutto qui. E chissà se il popolo grillino prenderà bene questi fatti. Un movimento che fin dagli albori ha sparato a zero contro i privilegi della casta che si ritrova in modo mirabolante a fare i conti con se stesso.

il giornale.it

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