La Cassazione adesso smonta le toghe ultrà dell’accoglienza

Sono tre sentenze molto importanti quelle emesse nelle scorse ore dalla Corte di Cassazione, con le quali è stata fatta chiarezza su alcune delle discussioni più importanti aperte in tema di immigrazione.

In tutti e tre i casi, sono stati accolti i ricorsi con i quali il Viminale ha impugnato le sentenze delle corti d’appello, provenienti in due casi da Firenze ed in uno da Trieste, in cui i giudici hanno riconosciuto la protezione umanitaria ad alcuni migranti in base al loro livello di integrazione in Italia.

Secondo cioè quelle sentenze d’appello, è possibile concedere il riconoscimento della protezione umanitaria basandosi unicamente sul fatto che il migrante in questione appare già integrato in Italia.

Per la Cassazione, accogliendo dunque le ragioni del ministero dell’interno, invece questo tipo interpretazione non può essere valida. Secondo i giudici delle sezioni unite civili della suprema corte, il livello di integrazione nel nostro paese non può bastare per decidere se concedere o meno la protezione.

Così come si legge sull’agenzia Agi, i due casi di Firenze riguardano rispettivamente un cittadino bengalese che ha ottenuto un’assunzione in Italia ed uno invece del Gambia, il quale secondo i giudici della corte d’appello fiorentina “studia e coltiva i suoi principali legami sociali nel nostro Paese, mentre in Gambia non ha rapporti familiari di rilievo”. Il terzo caso, ha invece per oggetto un altro cittadino gambiano. I giudici di Trieste hanno riconosciuto a lui la protezione internazionale in quanto, per via della “situazione critica dovuta al disordine complessivo del Gambia e alle primitive strutture giudiziarie e carcerarie sotto il profilo della tutela dei diritti individuali”, potrebbe essere “sottoposto a procedimento penale ove fosse rientrato nel Paese di provenienza”.

La Corte di Cassazione ha rimandato tutti e tre i casi in appello. I giudici nelle loro sentenze hanno condiviso l’orientamento secondo cui “non può essere riconosciuto al cittadino straniero – si legge – il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza”.

In poche parole, secondo la Cassazione occorrono criteri oggettivi e riscontri certi prima di procedere al rilascio della protezione internazionale ad un determinato richiedente. Ha prevalso dunque la linea del Viminale, soprattutto di quello targato Matteo Salvini.

E non a caso l’ex ministro dell’interno è il primo a commentare le sentenze provenienti da piazza Cavour: “Sui permessi umanitari aveva ragione la Lega – ha affermato Salvini – L’ha stabilito la Corte di Cassazione. È la migliore risposta agli ultrà dei porti aperti e che vorrebbero cancellare i Decreti sicurezza.

Peraltro la sentenza della Cassazione ha sostanzialmente smontato la tesi di Luciana Breggia, il magistrato presidente della sezione specializzata per l’immigrazione e la protezione internazionale del tribunale di Firenze. Breggia negli ultimi giorni è salita alla ribalta per le dichiarazioni contenute in un suo spettacolo in cui ha raccolto, nei mesi scorsi, alcuni aneddoti inerenti il suo lavoro. Ed in particolare, il magistrato ha dichiarato di aver agito in certi casi anche senza prove: “Era inserito in un contesto, parlava italiano, era vulnerabile – ha raccontato Luciana Breggia – Mi sono misurata con l’impossibilità di ricostruire la sua storia e gli ho dato il permesso umanitario”.

Altro che i criteri oggettivi di cui ha parlato la Cassazione, secondo il magistrato a volte nel suo lavoro occorre agire in base al “cuore”: “Un giudice ha una testa e un cuore, non è disincarnato”, ha infatti dichiarato, tra le altre cose, proprio Luciana Breggia.

Nelle sentenze odierne della Cassazione, c’è poi una parte invece non molto favorevole alla linea salviniana. È stato infatti sancito, intervenendo anche in questo caso per porre fine ad alcune diatribe interpretative, che le norme inerenti la cancellazione dei permessi per motivi umanitari non possono essere applicati ai casi antecedenti l’introduzione del decreto sicurezza voluto da Salvini.

Per quei casi, ha stabilito la Cassazione, si applicano le previsioni dei casi speciali, con permesso di soggiorno annuale, contenute nello stesso decreto Salvini.

il giornale.it

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