Alitalia resta ancora senza un compratore. Per gli italiani è un salasso da 1,3 miliardi

La tempesta che si è abbattuta sull’Ilva ha avuto la conseguenza immediata di distogliere l’attenzione da un’altra vicenda disastrosa: quella di Alitalia, nella quale è in gioco lo stesso numero di lavoratori, circa 10.800.

Entrambe commissariate, entrambe in perdita, entrambe a rischio, con la differenza che una il compratore (pentito) l’aveva trovato, mentre l’altra lo sta cercando da due anni e mezzo. Oggi Lufthansa, dopo il cda, dovrebbe far sapere se è interessata a entrare nel capitale, mentre l’unica cordata candidata all’acquisto (Fs, Mef, Atlantia, Delta) non ha preso impegni e appare tuttora nebulosa. Il tempo stringe: il 21 novembre, salvo nuove proroghe (sempre negate e sempre accordate) scade il termine per le offerte vincolanti. Non vi è alcuna certezza: anzi. Il partner industriale, Delta, sembra sordo alle richieste di aumentare la propria quota e di migliorare la posizione offerta ad Alitalia sulle rotte atlantiche. Le Fs, nella persona dell’ad Gianfranco Battisti, soffrono per l’allontanamento di Danilo Toninelli dal ministero dei Trasporti, e per un attacco politico legato a una vicenda assicurativa; così la posizione di capocordata dell’azienda ferroviaria sembra più debole. Atlantia prima di pronunciarsi vuole certezze sulle concessioni autostradali; e insistendo per un piano industriale serio e risanatore, implicitamente sembra parteggiare per l’esperienza di Lufthansa.

Quest’ultima peraltro ha sempre dichiarato che non entrerà in società dove ci sia lo Stato, e chiede un numero di esuberi mai ufficializzato ma sicuramente doloroso. Con l’ipotetico arrivo dei tedeschi, si tratterebbe poi di passare dal network di SkyTeam (guidato da Delta e Air France) a quello di StarAlliance (Lufthansa e United) ma questo, realisticamente, non sarebbe un problema perché la penale (qualcosa come 200 milioni) verrebbe scaricata sulla bad company, e finirebbe, come si dice, in cavalleria. Stesso discorso vale per il prestito ponte, che con i 400 milioni aggiuntivi previsti dal decreto fiscale salirà a 1,3 miliardi. Curiosità: il valore del prestito ponte supera quello di tutti gli asset che saranno conferiti nella nuova Alitalia, valutata un miliardo. Qualunque società che abbia un debito superiore alla propria capitalizzazione ci si può immaginare che fine faccia: ma non evidentemente Alitalia, che ha sette vite come i gatti.

Ieri i tre commissari sono stati ascoltati in commissione alla Camera; singolare un’affermazione di Stefano Paleari, secondo il quale Alitalia, che «fatturerà anche quest’anno oltre 3 miliardi di euro, è un’azienda che sta sul mercato, nei limiti dell’amministrazione straordinaria». Cioè con i soldi dei contribuenti. La cassa al 31 ottobre conteneva 315 milioni, ma i biglietti già pagati per futuri voli (che costituiscono un debito) ammontavano a 430 milioni, portando il conto in negativo. Per questo urge denaro fresco; i 400 milioni del governo serviranno a tirare avanti fino a marzo, sperando che la vicenda intanto si chiuda.

il giornale.it

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