Cos’è la Nuova via della seta e perché è così importante

Da cinque anni parlare di Cina significa parlare, esplicitamente o meno, della “Nuova via della seta“. Della Belt and Road Initiative, il grande progetto (ma sarebbe meglio dire “sistema”) con cui  Pechino punta a rilanciare la connettività infrastrutturale e commerciale della grande massa continentale eurasiatica e a edificare una nuova architettura economico-commerciale.

Annunciata nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping e promossa sin dalle prime battute dal primo ministro Li Keqiang nel corso di diversi viaggi in Europa e Asia, la Nuova via della seta è presentata dal governo cinese come il primo passo per “rinforzare la connettività regionale e costruire un radioso futuro condiviso”, come dichiarato nel marzo 2015 dall’agenzia di stampa Xinhua.

La Nuova via della seta richiama, nel suo stesso nome, l’epoca d’oro degli scambi nei grandi spazi euroasiatici, l’era delle carovane che attraversando Siria, Iran e Asia Centrale consentivano il commercio tra il bacino del Mediterraneo e la Cina.  Risulta, al tempo stesso, una strategia, un cambio di paradigma e, a suo modo, un auspicio.

Nel solo contesto euroasiatico, la Belt and Road Initiative potrebbe arrivare a interessare Paesi che riuniscono il 65% della popolazione e il 40% del Pil planetari, come frutto dei più grandi investimenti infrastrutturali della storia; logico, dunque, che il governo cinese sottolinei il carattere multilaterale e win-to-win del progetto, tema centrale del Belt and Road Forum di Pechino del maggio 2017, che ha visto partecipi numerosi leader internazionali, da Vladimir Putin a Paolo Gentiloni passando per Recep Tayyip Erdogan. Dato che le stime più affidabili affermano che la realizzazione dei progetti della Nuova via della seta richiederà almeno 900 miliardi di dollari, la collaborazione diventa a dir poco necessaria per concretizzare una realtà che, di seguito, sarà analizzata nel dettaglio.

I due rami della Nuova via della seta

La Repubblica Popolare ha più volte rilasciato mappe più o meno ufficiali dei progetti attesi in via di sviluppo per la costruzione materiale della Nuova via della seta. Tuttavia, come riportato da The Diplomat, tali raffigurazioni servono più a definire una road map che a delineare il reale programma dei decisori politici di Pechino.

Più interessante è segnalare come sin dalle prime battute la Cina abbia tenuto ben distinta la progettazione del tratto terrestre del progetto (Silk Road Economic Belt) dalla sua controparte marittima (Maritime Silk Road), complementare alla prima ma sviluppata con logiche diverse.

Il primo è inteso come la somma di una serie di “ponti terrestri” autostradali o ferroviari destinati a svolgere il ruolo di rotte commerciali e tratti d’incontro tra i Paesi interessati, dalla Russia al Myanmar, a loro volta membri dell’Asian Infrastructure Investment Bank che veicola finanziamenti e disponibilità economiche. Tra i “ponti” più importanti si segnalano il China-Pakistan Economic Corridor (Cpec) e il New Eurasian Land Bridge che connetterà Cina e Germania attraverso Russia e Kazakistan.

Il plastico della ferrovia che collegherà Cina e Malesia nella Nuova via della seta (LaPresse)

Il plastico della ferrovia che collegherà Cina e Malesia nella Nuova via della seta (LaPresse)

Il secondo, di fatto, ha una configurazione più sfumata in quanto si sovrappone alla costante proiezione mondiale che la Cina sta assumendo in campo navale. E di fatto il suo sviluppo coincide con la volontà di Pechino di porre sotto tutela le rotte di approvvigionamento energetico, messe a rischio dai “colli di bottiglia”, mentre alcuni strateghi statunitensi e indiani affermano che l’interesse cinese per i porti dei Paesi interessati dalla Nuova via della seta, dal pakistano Gwadar al maldiviano Male, sottintenda sviluppi in chiavo militare.

Con la Nuova via della seta la Cina torna al centro del mondo

La Cina di Xi Jinping ha fatto della Belt and Road Initiative la cinghia di trasmissione di una nuova strategia globale con cui l’Impero di Mezzo vuole notevolmente ampliare il benessere della sua popolazione e il suo ruolo e amplificare la propria proiezione internazionale, realizzando di fatto quel Chinese Dream definito da Xi “un sogno riguardante la Storia, il presente e il futuro” nel corso del suo discorso al XIX congresso del Partito comunista cinese.

Congresso che ha sancito l’innalzamento del presidente a padrone assoluto del partito-guida del Paese e delle sue istituzioni, oramai completamente proiettate verso gli  obiettivi ambiziosi fissati dal governo: dapprima l’eradicazione della povertà assoluto nei prossimi anni, poi entro il 2035 il conseguimento di uno stadio di sviluppo generalizzato e della parità militare con gli Usa e, entro metà secolo, la realizzazione di un “moderno e prospero Paese socialista” e la riunificazione della madrepatria con Taiwan.

Mi Chunshan ha scritto sul numero di Limes di gennaio 2017 che la Nuova via della seta  “non riguarda solo una proiezione verso l’estero, ma anche uno sviluppo interno, assumendo così dimensioni colossali”. Essa “punta ad esempio ad accelerare lo sviluppo della Cina occidentale e a promuovere la trasformazione economica della costa orientale”, rappresentando una “grande strategia di sviluppo economico che coinvolge tutto il Paese. Tramite la Bri, l’economia cinese potrà scrollarsi di dosso i problemi arrecati da trent’anni di crescita accelerata”.

Sfide e ostacoli ai progetti cinesi

In ogni caso, la Nuova via della seta conoscerà numerosi ostacoli nella sua realizzazione: la Cina sta sviluppando una strategia destinata a cambiare gli equilibri internazionali, e a vederla di traverso sono i Paesi che da essa avrebbero meno da beneficiare, Stati Uniti in primis. L’amministrazione Trump ha rinfocolato la contrapposizione con Pechino ed ereditato l’obamiano pivot to Asia, di recente amplificato su iniziativa del Segretario di Stato Mike Pompeo, che punta a costruire una coalizione di potenze indopacifiche in funzione anticinese.

Principale alleata degli Usa nella critica alla Nuova via della seta è l’India di Narendra Modi, cheteme le aspirazioni egemoniche di Pechino e la sua vicinanza al nemico Pakistan, ma al tempo stesso non può non tenere aperto un canale di dialogo con quello che è il suo primo partner commerciale e, di fatto, il fautore di una strategia di sviluppo per tutta l’Asia meridionale.

         
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L’Unione europea, dal canto suo, si focalizza sulle questioni legali: i Paesi comunitari temono che la Cina possa egemonizzare gli appalti infrastrutturali frenando la libera concorrenza, chiedendo a Pechino maggiore trasparenza.

Un’ulteriore questione da tenere in considerazione è legata all’impatto dei grandi progetti infrastrutturali con le vite delle comunità locali in diverse zone dell’Eurasia: due esempi significativi sono legati alla guerriglia indipendentista nella regione pachistana del Balochistan, dove si trova il porto di Gwadar, e alla continua tensione che nello Xinjiang, la regione più occidentale della Cina, oppone il governo centrale alla minoranza musulmana degli Uiguri, che si vedono minacciati, prima ancora che beneficiati, dall’attivismo di Pechino.

Il nuovo ramo della Nuova via della seta: la corsa cinese all’Artico

Il 26 gennaio scorso il governo cinese ha pubblicato il suo primo “libro bianco” sull’Artico, nuova terra promessa per l’esplorazione a fini commerciali ed economici di Pechino. “Navigare da Tokyo verso l’Europa attraverso l’Oceano Artico permette un risparmio di tempo del 40% rispetto all’altra rotta. Risparmio che si riduce al 27% partendo da Shanghai”, ha dichiarato all’Agi Michele Geraci, sottosegretario allo Sviluppo Economico del governo Conte, dando un’idea della portata degli interessi cinesi nell’area.

L’espansione della Nuova via della seta oltre il Passaggio a Nord-Est consentirebbe alla Cina di acquisire un ulteriore vantaggio strategico dal punto di vista della connettività e garantirebbe a Pechino un ruolo da leader nello sfruttamento sostenibile delle riserve locali di gas e petrolio, in larga parte tuttora da scoprire, nell’accesso ai consistenti stock ittici che potrebbero risultare fondamentali per le future dinamiche della pesca nel mondo e nello sviluppo del settore turistico nell’Artico.

Come ha scritto Giorgio Cuscito su Limes,  una proiezione artica della Nuova via della seta “sarebbe più breve e meno costosa rispetto alla rotta collaudata lungo il canale di Suez per raggiungere l’Europa del Nord. Da Qingdao (Cina) a Narvik (Norvegia) la prima è lunga 6.800 miglia nautiche, la seconda 11.800”. Attraverso l’Artico la Cina vuole contribuire a restringere ulteriormente le dimensioni dell’Eurasia. Ma rischia, al tempo stesso di amplificare ulteriormente le problematiche economiche e politiche legate alla realizzazione della Bri. La Nuova via della seta, fondamentalmente, è anche una grande scommessa in cui la Cina ha messo in gioco una porzione enorme dei suoi destini futuri. Una grande sfida quotidiana di cui solo tra decenni vedremo l’esito definitivo.

 

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