Stazione Termini in mano a rom e immigrati: loro dell’autocertificazione se ne fanno un baffo

Questo è il resoconto di un viaggio dalla periferia di Roma al centro, nel bel mezzo dell’ennesimo lockdown. Da Casalotti fino alla Stazione Termini. Una cronaca deprimente. Se siete giù di morale o arrabbiati non leggetela: vi farà sentire peggio.

Roma, martedì 16 marzo 2021, ore 11,30. Per uscire di casa va stampata l’ennesima autocertificazione. Per chi fa il nostro mestiere, si comincia scaricando il modulo del sito dell’Ordine dei giornalisti. Dagli estremi del tesserino professionale, al numero di telefono della redazione, facendo accortezza che al desk ci sia qualcuno in carne e ossa e non siano tutti in telelavoro. Qualore l’agente o il carabiniere zelante volessero verificare. Una compilazione che ormai ha esasperato tutti. Ma la legge è legge. Anzi, il dpcm è dpcm.

Da Battistini a Termini: viaggio allucinante durante il lockdown

Il viaggio prosegue con la curiosa scoperta che il traffico è ridotto ma non è poi così scarso. Si parte in auto fino alla Stazione della metropolitana Battistini. Si parcheggia (facilmente) a poche centinaia di metri. Qui, un giorno, assicurano i grillini, dovrebbe arrivare la “mitica” funivia della Raggi.  All’ingresso della stazione, i militari che si vedevano un tempo non ci sono più. Quei militari di pattuglia introdotti con La Russa ministro della Difesa, pressoché eclissati coi governi successivi.

A Battistini l’immigrato viaggia a sbafo, senza controlli

Ad accogliere i viaggiatori, una canzone di Sanremo in sottofondo: è “Fiamme negli occhi” dei Coma Cose. Come le “Fiamme degli occhi” di una signora inferocita, che ha passato il tornello con un giovane straniero, imbucato lestamente appresso a lei. Lui ha risparmiato il costo del biglietto, realizzando un perfetto “due per uno”. Lei paga e lui entra gratis. La signora fa per andare al gabbiotto per lamentarsi, ma nel gabbiotto del personale Atac non c’è nessuno. Saranno in telelavoro?

L’autocertificazione vale solo per gli italiani

Si capisce che i viaggiatori sono pochi perché le edizioni cartacee di Metro sono ancora nei cestini. In genere, sono già introvabili alle 9 di mattina. Il lockdown qualcosa di buono l’ha portato per i pochi viaggiatori: i vagoni sono vuoti e puliti. La destinazione è Castro Pretorio. Ma la stazione B è chiusa a tempo indeterminato per il rifacimento trentennale delle scale mobili. La stazione è fuori uso da cinque mesi. Avete letto bene: centocinquanta giorni per la manutenzione delle scale mobili. Avevano annunciato che sarebbero bastati due mesi. Ma con la giunta Raggi è tutto normale, ormai romani sono rassegnati a tutto. All’altezza della metro Cipro sale una signora con i vestiti variopinti che parla con tono cantilenante e chiede a ognuno di noi un euro. Non una elemosina a caso. Un euro, come una tariffa. Chissà quale autocertificazione avrà con sè.

Roma durante il lockdown, in metro restano i soliti disagi

Arrivare a Castro Pretorio è impossibile con la metro, quindi la fermata inevitabile è a Stazione Termini. All’uscita su piazza dei Cinquecento, aspetto che mi fermi qualcuno dei militari. Ma nessuno mi degna di uno sguardo. Mi sento fortunato. Poi vedo che fuori dalla Stazione c’è il solito suk. Immigrati accampati, c’è chi urla, chi si lamenta. Al cellulare un altro immigrato urla a ripetizione “Shut up, madame” a una ignota interlocutrice. Se lo sentisse la Boldrini sarebbe in serio imbarazzo.

La nomade accampata davanti alla Bnl

Nel tragitto a piedi verso Castro Pretorio, all’angolo con la enorme filiale della Banca del Lavoro, c’è una donna seduta. Indossa abiti variopinti, simili a quelli della signora che in metro chiedeva l’euro. Questa nomade, invece, molto carinamente mi indirizza baci e benedizioni, col suo sorriso sdentato. Anche lei chiede l’elemosina, ma senza tariffario. A pochi metri, parlottano dei rappresentanti delle forze dell’ordine. Non mi chiedono dove vado. Anche perché, penso maliziosamente, dovrebbero chiederli anche alla signora che manda benedizioni.

A Roma durante il lockdown si parla di crisi e di pignoramenti

Davanti alla sede Corriere dello Sport, tra i lavori di rifacimento del palazzo, bivaccano altri immigrati. Poco prima di Castro Pretorio un edicolante parla con un giovane uomo che ha appena comprato il Messaggero. Parlano del lockdown, della crisi e si lamentano del governo. Poco distante, un signore in giacca e cravatta al cellulare ripete più volte la parola “pignoramento“. Impossibile non ricollegarlo alla crisi che tanti italiani stanno vivendo. Sembra di rivivere la scena già vissuta, da un anno a questa parte, durante gli altri lockdown. Come in uno sconfortante giorno della marmotta, non è cambiato nulla. Ma la legge è legge. Anzi, il Dpcm è Dpcm.

(Nota per il lettore: la foto Ansa è del marzo 2020, ma è come se fosse stata scatattata oggi. La situazione è pressoché identica).

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