Roberto Speranza sotto torchio per 5 ore per il piano pandemico: le scuse del ministro per il flop

Volevano mandare a processo la giunta della Regione Lombardia, il governatore Attilio Fontana e i suoi collaboratori: Pd, 5 Stelle e rimanenti cespugli di centrosinistra tra cui Leu li accusano di aver aggravato l’epidemia e in particolare di non aver dichiarato tempestivamente la zona rossa ad Alzano e Nembro. Alla fine, però, di fronte ai magistrati sono finiti il ministro della Salute Roberto Speranza – esponente di Leu – il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro e altri vertici dell’Iss. Speranza, Brusaferro, Gianni Rezza (direttore della prevenzione del ministero), oltre a Giuseppe Ippolito (direttore scientifico dell’ospedale Spallanzani di Roma), ieri sono stati ascoltati a lungo a Roma dal procuratore aggiunto di Bergamo Cristina Rota a capo di un pool di pm.

Hanno risposto alle domande in qualità di persone informate sui fatti, va chiarito, e non di imputati. Così come il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico Agostino Miozzo e l’ex direttore della prevenzione Donato Greco, colui che ha redatto l’ultimo (secondo i pm) piano pandemico, datato 2006. E però tali audizioni potrebbero rappresentare una svolta nell’inchiesta perché i magistrati con questi colloqui puntano a chiudere il cerchio. La procura bergamasca, lo ricordiamo, indaga per epidemia colposa e falso. La deposizione di Speranza, durata 5 ore, da quanto è stato fatto trapelare dai suoi si sarebbe svolta in un «clima disteso e di serenità» – frasi più di circostanza che di sostanza in questi casi – e avrebbe riguardato soprattutto il mancato aggiornamento del piano pandemico e la mancata attuazione di quello in vigore, a quanto risulta fermo a 15 anni fa. Speranza, dicevamo, era già stato sentito a giugno e in quel caso l’audizione aveva riguardato l’altro ambito del filone d’inchiesta, la mancata istituzione della zona rossa nei due comuni della Val Seriana investiti dal virus nella fase iniziale dell’epidemia.

LA ZONA ROSSA
Nei mesi scorsi sono state acquisite anche le testimonianze di Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero della Salute (rimasto 7 ore a disposizione degli inquirenti), e dell’ex capo della prevenzione, Claudio D’Amario, oggi direttore del dipartimento abruzzese della salute. Il piano pandemico non sarebbe stato attivato nonostante il 5 gennaio 2020, quando il Covid stava già circolando vorticosamente in Italia, l’Organizzazione mondiale della Sanità avesse invitato le autorità sanitarie di ogni Paese a farlo con celerità. Proprio il 5 gennaio Speranza aveva inviato a Palazzo Chigi e all’Istituto superiore di Sanità la comunicazione con oggetto “Polmonite da eziologia sconosciuta”. Solo a febbraio inoltrato il ministero ha cominciato a predisporre le direttive sulla base dello scenario e delle previsioni della fondazione Bruno Kessler, Stefano Merler: lo studio, come si è saputo successivamente, era stato secretato dai membri del governo per via dei dati considerati «allarmanti» per la popolazione.

«PREPARATISSIMI»
Per settimane Palazzo Chigi e i ministeri sono rimasti a guardare anche perché per il premier Giuseppe Conte l’Italia era «preparatissima» all’eventuale arrivo del morbo di Wuhan. I nostri rappresentanti, questo è quanto sarebbe emerso finora dall’inchiesta, non avrebbero aggiornato il piano pandemico perché non si trattava di influenza bensì di un virus proveniente dalla Cina di cui si sapeva poco. Secondo i magistrati, in sostanza, anziché prepararsi adeguatamente l’Italia avrebbe temporeggiato. A giugno sono stati sentiti sia il presidente del Consiglio che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Speranza ieri ha detto che «il commissario all’emergenza Domenico Arcuri sta svolgendo un lavoro essenziale ai fini del contrasto dell’epidemia. A lui», ha continuato il ministro, «va il nostro pieno sostegno al di là delle scomposte dichiarazioni di chi pensa a fare solo propaganda». Da capire cosa pensano i magistrati delle dichiarazioni rese da Speranza.

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