Variante inglese del coronavirus, tutto quello che c’è da sapere (per non cadere nella psicosi)

 E’ già psicosi per la variante inglese del coronavirus. La mutazione del Sars-CoV-2 che si sta diffondendo in Gran Bretagna è stata isolata anche in altri Paesi europei – tra cui Italia – e ha fatto scattare la chiusura dei collegamenti con Londra.

Ma che cosa sappiamo per ora di questa nuova incognita che ha già innescato l’allarme in tutta Europa? L’allarmismo dei media mainstream è giustificato?

Che cosa sono le mutazioni

Le mutazioni sono piccole replicazioni dei virus a Rna (categoria di cui il nuovo coronavirus fa parte) causate dalla necessità di evolversi e adattarsi ad organismi differenti. In altre parole, i virus mutano continuamente per sopravvivere. Per capire la frequenza di questo fenomeno, basti pensare che i ricercatori dell’Istituto di genetica dell’University College di Londra hanno individuato quasi 13mila mutazioni del Sars-CoV-2, delle quali 398 sono emerse come più frequenti. Gli scienziati sostengono che il coronavirus sia dalle 10 alle 100 volte meno soggetto a mutazioni rispetto al virus dell’Hiv.

Perché fa tanta paura la variante inglese 

L’incognita della variante inglese sta nella sua capacità di diffusione. Si sta, in poche parole, diffondendo più velocemente degli altri ceppi. Lo ha affermato il premier britannico Boris Johnson nell’annunciare il lockdown natalizio: «Sembra che il virus circoli più velocemente a causa di una nuova variante, non ci sono prove di una maggiore letalità ma sembra che si propaghi più velocemente». La variante non sarebbe più virulenta o letale ma sembrerebbe soltanto più contagiosa.

Patrick Vallance, consigliere scientifico del governo di Londra, ha affermato che nella settimana conclusasi il 18 novembre la variante del virus era presente «in un caso su quattro circa a Londra, nel Sud Est e nell’Inghilterra orientale, mentre nella settimana conclusa il 9 dicembre la percentuale era già salita rispettivamente al 62, al 59 e al 43 per cento». La diffusione sarebbe del 70% più veloce rispetto al ceppo originale. 

Mutazione inglese e metodi diagnostici

Un portavoce di Oms Europa ha inoltre riferito che le «informazioni preliminari» sulla variante del coronavirus suggeriscono che «potrebbe anche incidere sull’efficacia di alcuni metodi diagnostici, oltre al fatto che potrebbe essere più contagiosa». Lo stesso portavoce ha però precisato che non esiste al momento «alcuna prova di un cambiamento nella gravità della malattia».

La variante incide sull’efficacia del vaccino?

«La presenza, nella nuova variante, di alcune mutazioni in zone ben delimitate della proteina Spike non mi fa sentire particolarmente preoccupato per quanto riguarda l’efficacia dei vaccini in arrivo: gli anticorpi indotti dalla vaccinazione potranno comunque legarsi sulla stragrande maggioranza della superficie della proteina Spike che è rimasta invariata», queste le parole di Giacomo Gorini, 31enne ricercatore dell’università di Oxford, al lavoro con AstraZeneca allo sviluppo e alla sperimentazione del vaccino.

La comunità scientifica internazionale si trova trasversalmente concorde nel mantenere un atteggiamento di cauto ottimismo sul fatto che il vaccino possa essere efficace anche contro la variante inglese. Moncef Slaoui, capo dell’Operazione Warp Speed per il vaccino americano, ha dichiarato alla Cnn che fino ad ora non sono state rilevate varianti resistenti. 

Cosa dicono gli esperti italiani sulla variante inglese del virus

Gli esperti italiani, dall’ala più rigorista-catastrofista a quella meno incline a proporre una narrazione allarmista concordano nel mantenere la calma.

«Nonostante si ipotizzi che queste mutazioni possano aumentare la trasmissibilità del virus, non sembrano alterare né l’aggressività clinica né la risposta ai vaccini», spiega il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza. «C’è un fatto da considerare: l’Inghilterra è il Paese in cui si fanno più sequenziamenti al mondo e purtroppo più si cerca più si trova», specifica Crisanti, mentre Galli precisa: «Non significa che il virus cattivo e si morirà di più, significa che questa storia non è finita e bisogna stare attenti. Non credo che la nuova variante del Covid sia in grado di rendere i vaccini inutili, non mi fascerei la testa».

Matteo Bassetti come sempre invita alla calma: «Non è la prima mutazione e non sarà neanche l’ultima. Simili mutazioni erano già state descritte in Spagna e altri paesi. I virus mutano continuamente. Per sopravvivere. Non si può escludere che questa variante stia già circolando anche in altri paesi incluso l’Italia. Occorrerà continuare a studiare il genoma virale dei ceppi di virus isolati nostro Paese». Gli fa eco il direttore dell’Aifa Giorgio Palù: «Questo virus muta sicuramente ma lo fa molto di meno rispetto ad altri a Rna come quello dell’influenza, Hcv e Hiv. Un dato confortante a riguardo è l’osservazione, effettuata negli studi preliminari condotti sui volontari, che gli anticorpi indotti dalla vaccinazione neutralizzavano anche virus circolanti portatori di mutazioni rispetto al ceppo originario».

Cristina Gauri

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