Gregoretti, Giulia Bongiorno e il video che incastra Giuseppe Conte: “Perché è colpevole anche lui”

Giuseppe Conte cammina su due crinali. Uno è politico: sopravvivenza o crisi, con incluso biglietto di ritorno all’attività accademica. Dipenderà da ciò che conviene a Matteo Renzi. Il fiorentino racconta in giro che stavolta è pronto a tutto, ma finché l’alternativa a questo governo sono le elezioni, che per il suo partitino sarebbero un bagno di sangue, nessuno lo prende sul serio. L’altro crinale è giudiziario: nel processo di Catania a Matteo Salvini, imputato per avere “sequestrato” i 131 immigrati a bordo della nave Gregoretti, il presidente del Consiglio è testimone, ma corre il pericolo di ritrovarsi indagato per concorso. Il problema è sempre quel maledetto comma 2 dell’articolo 40 del Codice penale: «Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Se il ministro dell’Interno avesse commesso reato, il presidente del consiglio, che secondo la Costituzione «dirige la politica generale del governo e ne è responsabile», sarebbe altrettanto colpevole.

E Conte non solo sapeva, ma concordava su tutta la linea, assicura Salvini. Il quale non cerca correi, anzi: proclamando se stesso innocente difende pure il premier, proprio perché le responsabilità dell’uno sono quelle dell’altro. La narrazione che vuole il capo del governo vittima delle trame anti-immigrati del suo vice leghista non sta in piedi dal primo giorno, e ieri ha ricevuto un’altra poderosa picconata da parte di Giulia Bongiorno, che fu ministro proprio in quell’esecutivo e oggi è avvocato difensore del capo della Lega. Tra i tanti documenti da lei depositati nel processo c’è un video risalente a un anno fa, che visto alla luce delle accuse mosse a Salvini pare non lasciare una terza strada ai magistrati: o l’allora ministro dell’Interno è innocente, come la stessa procura va ripetendo dall’inizio, al punto da chiedere l’archiviazione dell’accusa per sequestro di persona, o è colpevole; in tale caso, però, lo è alla pari di Conte e altri ministri. Le immagini sono quelle dell’evento più ufficiale che ci possa essere: la conferenza stampa di fine anno che si è svolta il 28 dicembre nella sede governativa di villa Madama, con la bandiera italiana e quella europea alle spalle del premier. Rispondendo a domanda diretta sul ruolo svolto nei giorni in cui la Gregoretti era tenuta al largo, Conte afferma: «Sicuramente c’è stato un coinvolgimento della presidenza», cioè di lui stesso, «come è sempre avvenuto, per la ricollocazione. Perché abbiamo sempre, a livello di presidenza, anche con l’ausilio del ministero degli Esteri, lavorato noi per ricollocare, e quindi consentire poi lo sbarco».

Distribuire gli immigrati negli altri Paesi e «quindi poi», ovvero solo dopo, farli sbarcare: il punto è proprio qui. Era la linea portata avanti in quei giorni da Salvini, che Conte ha riconosciuto come propria e condivisa con la Farnesina, retta all’epoca da Enzo Moavero Milanesi. La Bongiorno ha depositato tanti altri documenti, inclusi numerosi “tweet” di Conte e Toninelli, ma non serve molto di più. Fiutata l’aria che tirava a Catania, ieri il premier ha pensato bene di non presentarsi nell’aula bunker del carcere Bicocca. Anche perché era sin troppo facile prevedere la figura che avrebbe rimediato Danilo Toninelli, costretto a cercare rifugio in una sequela di «non ricordo», «non so» e «non era mia competenza». Meglio quindi per Conte prendere le distanze, anche fisiche, dall’ex ministro grillino, e scegliere un altro luogo e un altro tempo.

Così si è avvalso di una prerogativa riservata ai «grandi ufficiali dello Stato», le cui testimonianze possono essere raccolte nei loro uffici, «al fine di garantire la continuità e la regolarità della funzione cui sono preposti». Eppure, per dirla con un eufemismo, l’agenda ufficiale del capo del governo, ieri, non era fittissima. C’era un unico impegno, alle ore 15,30: «Il presidente Conte interviene in videoconferenza al Climate Ambition Summit 2020». L’udienza del processo era in mattinata e lui avrebbe avuto tutto il tempo per sostenere l’interrogatorio, pranzare e ripetere poi in videocollegamento, dopo il caffè e l’ammazzacaffè, il solito discorsetto sul riscaldamento globale. Ha scelto invece di approfittare della possibilità offertagli dalla legge.

I magistrati e la Bongiorno lo sentiranno quindi a palazzo Chigi il 28 gennaio, ed è inevitabile che lui approfitti di questo mese per studiare la strategia migliore con cui spiegare, contestualizzare ciò che disse in quella occasione e ribattere agli altri documenti prodotti dalla legale di Salvini. Una possibilità negata ai comuni mortali, ma che le altissime cariche hanno a disposizione anche quando manca una oggettiva necessità. Privilegi che male si conciliano con la retorica di chi si proclamava «avvocato del popolo», diventato ormai avvocato di se stesso. 

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