Aumentano i flussi e l’Europa ci isola: il fallimento del governo sull’immigrazione

Giuseppe Conte si è come improvvisamente svegliato da un lungo sonno. Vero che il presidente del consiglio ha avuto maggior pensiero all’emergenza coronavirus negli ultimi mesi, è altrettanto vero però che il capo del governo non può non sapere cosa accade sul fronte migratorio. Allarmato dai numeri di novembre, inusualmente molto vicini a quelli estivi, adesso Conte ha provato assieme al premier spagnolo Pedro Sanchez a lanciare un documento comune in cui viene invocato l’intervento europeo. Roma, in poche parole, ancora una volta prova ad arrampicarsi sugli specchi di Bruxelles. Ma dalle sedi comunitarie è da mesi che fanno orecchie da mercante.

L’Italia sempre più isolata dall’Europa

Da quando si è insediato il governo Conte II, la linea assunta dalla maggioranza giallorossa sul fronte immigrazione è stata da sempre quella diretta a chiedere una maggiore cooperazione all’Ue soprattutto con l’introduzione di un meccanismo obbligatorio dei ricollocamenti. Un sistema questo che consentirebbe di “smaltire” i migranti giunti in Italia nei Paesi membri dell’Unione Europea in base a specifiche quote. Ad oggi quelle richieste sono rimaste solamente parole al vento, nonostante il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese negli ultimi mesi ha più volte ribadito ai media il raggiungimento di importanti accordi capaci di garantire una svolta definitiva. Era il 23 settembre del 2019 quando il capo del Viminale annunciava un cambiamento storico in tema di ricollocamenti grazie alla sua partecipazione al vertice tenutosi a La Valletta.

Finita la passerella, spenti i flash dei fotografi, di quel documento redatto dagli Stati che hanno posato davanti allo storico porto maltese non se n’è fatto più nulla: tutte le proposte elaborate in quel contesto non hanno superato l’esame nei tavoli dei governi europei. Un’altra batosta è arrivata poi da Berlino, quando fonti vicine ad Angela Merkel hanno ribadito che la questione ricollocamenti non era prevista tra le priorità del semestre di presidenza tedesco. Le ultime speranze sono state spente sia dal presidente del consiglio europeo Charles Michel, il quale a settembre ha parlato di “altre priorità”, sia dal presidente della commissione europea Ursula Von der Layen che, nel piano europeo sull’immigrazione, non ha fatto cenno ai ricollocamenti.

Il piagnisteo inutile di Conte e Lamorgese

Sedotto e abbandonato, verrebbe da dire. Il governo giallorosso nel settembre 2019 era nato all’insegna dei ritrovati buoni rapporti con l’Europa. Una circostanza politica che doveva risolvere tutti i problemi più stringenti dell’Italia, a partire proprio dall’immigrazione. Oggi il cortocircuito: dopo aver benedetto la nascita dal Conte II, da Bruxelles non sono arrivati che schiaffi. Eppure tanto il presidente del consiglio quanto il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, continuano a sedere con il cappello in mano sotto le istituzioni comunitarie. Giuseppe Conte lo ha fatto assieme al premier spagnolo Pedro Sanchez da Palma di Maiorca. Lì i due hanno tirato fuori un documento che sa di vera e propria “lamentatio”, come definito da Daniele Capezzone su La Verità: “Non possiamo accettare che l’immigrazione non sia risolta a livello globale – si legge nel documento firmato da Conte, Sanchez e dagli omologhi di Malta e Grecia – Dobbiamo rispettare i diritti delle persone, dobbiamo combattere le mafie, ma dobbiamo anche lavorare sui meccanismi di distribuzione degli immigrati. Non può essere che un paese, per una questione geografica, ne assuma tutto il peso”.

Dunque, è il senso delle parole sottoscritte da Conte, occorrerebbe l’intervento dell’Ue. Una posizione che non è soltanto del presidente del consiglio, bensì una chiara linea da parte dell’intero attuale esecutivo. Anche Luciana Lamorgese ha invocato il mantra “dell’approccio unitario”: “Com’era già successo in passato – ha dichiarato il titolare del Viminale al Med 2020 in corso a Roma – emerge la difficoltà dell’Unione europea e degli Stati membri di rendere concreti i principi di solidarietà e di condivisione delle responsabilità che dovrebbero costituire il fondamento stesso dell’Europa”. Lacrime versate sul terreno europeo mentre, sul versante interno, è stato però lo stesso governo a dimostrarsi incapace di frenare i flussi migratori verso l’Italia.

Le prove del fallimento di Roma

Che da Roma si sia fatta acqua da tutte le parti lo dimostrano i numeri resi noti sul sito del Viminale: dall’inizio dell’anno ad oggi sono 32.542 i migranti approdati sul territorio italiano. Più del triplo rispetto al 2019. La situazione  al momento non lascia pensare ad una svolta: gli stranieri continuano ad arrivare e le difficoltà legate ai ricollocamenti e ai rimpatri mettono in affanno l’esecutivo lasciato solo dall’Europa.

“I ricollocamenti sembrano una chimera e il rimpatrio degli irregolari avviene sempre in numero inferiore agli arrivi”. Sono queste le parole rilasciate ad InsideOver dal segretario generale del sindacato autonomo di polizia Stefano Paoloni che prosegue: “Chi non può essere rimpatriato viene lasciato libero con un foglio dove gli viene ordinato di tornare al proprio paese. Ordine oserei dire quasi mai rispettato. Chi permane in modo irregolare sul territorio nazionale – prosegue Paoloni – non può avere una occupazione regolare (salvo sanatoria) e pertanto spesso è dedito ad attività criminose. Non è un segreto che circa il 70% dei nostri interventi avviene nei confronti di cittadini stranieri”. Non manca poi un riferimento del segretario generale del Sap sull’effetto dello smantellamento dei decreti sicurezza: “La modifica dei decreti sicurezza – afferma Stefano Paoloni – renderà ancora più difficili le espulsioni sia per la riduzione dei tempi entro i quali dovrà avvenire l’identificazione ma anche per le maggiori occasioni di proporre ricorso al mancato accoglimento del permesso di soggiorno. In questo sarà molto difficile regolare i flussi”.

L’Italia adesso paga anche lo scotto dell’attentato di Nizza

L’Europa ha le sue colpe, l’Italia le sue negligenze. E queste ultime stanno pesando come macigni nei rapporti con il resto del continente. A dimostrarlo è quanto avvenuto dopo i fatti di Nizza, lì dove un attentatore tunisino transitato dall’Italia ha ucciso tre persone all’interno della cattedrale. Pochi giorni dopo a un vertice sulla sicurezza convocato dal governo francese, Giuseppe Conte non è stato invitato. Diffidenza è l’elemento che più sta contraddistinguendo l’atteggiamento verso l’Italia sul tema migratorio. L’attentato di Nizza è però soltanto l’ultimo episodio preso come pretesto: “In realtà il nostro Paese non è ben visto da anni e per tanti motivi – ha dichiarato ad InsideOver il sociologo ed esperto di immigrazione Maurizio Ambrosini – Nel resto d’Europa sanno che la politica non scritta di Italia e Grecia è stata sempre quella di favorire il transito di migranti verso altri Paesi”.

Una circostanza confermata anche dal segretario Stefano Paoloni: “Molti tra quelli che sbarcano da noi proseguono in modo irregolare verso altri Paesi della comunità europea”. Per questo i pianti di Roma non hanno mai sortito effetto: “Veniamo visti – ha proseguito Ambrosini – Come un Paese piagnone, che ha favorito l’ingresso di migranti nel resto del continente e che adesso invoca solidarietà. Sotto sotto a noi Dublino è convenuta, ecco perché difficilmente ci ascolteranno”. L’Europa quindi non verrà incontro alle nostre richieste. Questo è un dato di fatto palese e difficilmente controvertibile. Non capirlo o far finta di non capirlo è un ulteriore segno di resa e fallimento da parte dell’attuale esecutivo.

il giornale.it

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