“Aumentano i contagi? Sì, ma i ricoveri sono bassi”. Remuzzi contro i “terroristi” del virus

Non tutti i virologi e gli infettivologi sembrano aderire alla narrazione “terrorizzante” declinata attraverso l’allarme lanciato dal governo – che ha annunciato nuovi atti normativi forieri di ulteriori restrizioni e giri di vite – e dall’Istituto Superiore di Sanità. L‘Iss, che nel suo ultimo report parla di “concreto il rischio di un rapido peggioramento epidemico nel caso di un rilassamento delle misure, in particolare per eventi e iniziative a rischio aggregazione in luoghi pubblici e privati, e dei comportamenti individuali, anche legati a momenti di aggregazione estemporanei”, si dimentica di specificare che sì vi è stato un aumento dei contagi – ieri se ne contavano 2.844, su ben 118.932 tamponi effettuati – ma i numeri spesso ineriscono un aumento esponenziale dei tamponi fatti; soprattutto, come sottolineano alcuni autorevoli scienziati, l’attenzione dovrebbe essere maggiormente posta sui soggetti ricoverati – un numero ancora esiguo – piuttosto che sui semplici positivi, per la maggior parte asintomatici o paucosintomatici.

A cominciare da Matteo Bassetti, primario di Malattie Infettive a Genova, che ha dichiarato colloquiando con ildubbio.news che non ci si trova al cospetto di una seconda ondata, ma semplicemente e più naturalmente davanti alla coda della prima. A dargli ragione – con particolare riguardo alla Lombardia ma con considerazioni che sembrano poter essere estese a tutta Italia – il direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, il quale, raggiunto dal Corriere della Sera, ha affermato che “dove è circolato tanto in passato a me sembra che il virus circoli molto meno e con effetti diversi. C’è una buona dose di immunità diffusa, anche se non possiamo assolutamente considerarla di gregge”, ha specificato. “Esistono due tipi di immunità diverse che però si possono sommare. Una è quella da anticorpi, di chi ha già contratto la malattia. La media in Lombardia è intorno al 7%, ma nelle zone più colpite tra la Bergamasca e il Lodigiano è di molto superiore. Poi c’è un’altra forma di immunità, altrettanto importante fornita dalle cellule T che sono fornite dalla memoria. Una parte della popolazione potrebbe già essere stata esposta in passato a qualcosa di simile al Covid e il nostro sistema immunitario potrebbe conservarne memoria”.

Parlando poi nello specifico delle zone più colpite nei mesi scorsi, ad esempio la bergamasca, Remuzzi ha spiegato che la soglia di immunità in quelle aree sembra essere giunta al 60%, un risultato decisamente considerevole e che potrebbe essere localizzato anche in altre zone. Sicuramente, nota il professore, la cura dei dettagli e il rispetto delle misure anti-contagio hanno fatto la loro nel rallentare il virus, ma non può trattarsi solo di elementi psicologici: alla base dell’abbattimento di quei numeri c’è appunto l’immunità raggiunta. “C’è una differenza nei numeri che non può essere spiegata solo dall’elemento psicologico. Però è chiaro che l’attenzione e il rispetto dei comportamenti individuali in questa fase è decisiva. È il motivo per cui in Francia non sono riusciti a contenere i numeri”.

Ma è su quanto attiene il resto d’Italia, ove il virus sembra essere in decisa ripresa, che Remuzzi fa delle considerazioni decisamente interessanti. Innanzitutto vanno considerati i dati mettendoli a confronto con la notevole mole di tamponi effettuati, cosa che le comunicazioni istituzionali si dimenticano sistematicamente di menzionare. “Più cerchi, più trovi casi, dato che il virus comunque circola in una società tornata aperta. Dobbiamo tenere gli occhi spalancati sull’andamento dei ricoveri. Il 3 aprile in Lombardia c’erano 1.444 persone intubate. Oggi sono 42, e molti sono ricoverati da tempo. Nella fase più critica, da noi moriva il 50% delle persone in terapia intensiva, oggi il 5%” afferma lo scienziato il quale in conclusione si sofferma sul trattamento farmacologico e sulla cura “usavamo già cortisone, eparina, in alcuni casi Remdesivir. È cambiato il contesto. Se tu hai 80 persone che non respirano da gestire fai fatica a stargli dietro. Oggi invece riusciamo a prevenire, a curare subito. Quello che in primavera non era possibile perché il virus girava da mesi”. Inoltre, «gli asintomatici non sono tutti uguali. Ci sono quelli che trasmettono la malattia, ma anche quelli che non sono contagiosi. O quelli che hanno bassa carica virale”.

Cristina Gauri

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