Anche Coca Cola ricatta Facebook: “Più censura contro razzismo, o sospendiamo pubblicità”

Roma, 28 giu – La Coca Cola si unisce al boicottaggio di Facebook e degli altri social. La decisione di sospendere per almeno trenta giorni la pubblicità su tutte le piattaforme, annunciata dalla stessa azienda, si inserisce nell’ambito della campagna Stop Hate for Profit cui hanno già aderito altre multinazionali. L’accusa rivolta a Zuckerberg e soci è quella di non prendere i necessari provvedimenti per contrastare il razzismo e la presenza di “contenuti d’odio” sulle proprie piattaforme. Scatterà il primo luglio lo stop alla pubblicità, un settore che costituisce l’asse portante del gigante social se si considera che gli utili dichiarati provengono per il 99% proprio dalla vendita di spazi pubblicitari. 

La oggettivamente surreale protesta – che vede contrapposte multinazionali quali Unilever, Verizon, Honda, Levi Strauss e North Face, ed ora Coca Cola, contro altre multinazionali, quali sono Facebook, Instagram e Twitter – è nata bel prima della morte di George Floyd, ma da questo episodio e dalle proteste che ne sono seguite ha tratto vigore, fino a portare a questa estrema scelta di boicottaggio. “Non c’è spazio per il razzismo nel mondo e non c’è spazio per il razzismo sui social media. Coca Cola Company sospenderà la pubblicità a pagamento su tutte le piattaforme social a livello globale per almeno 30 giorni”, è quanto comunica James Quincey, Chairman and CEO della The Coca-Cola Company.

Naturalmente, la vibrante – e potenzialmente pericolosa per le casse di Facebook – protesta non è rimasta senza risposta da parte del colosso social. “Investiamo miliardi di dollari ogni anno per mantenere la nostra comunità sicura e lavoriamo costantemente con esperti esterni per rivedere e aggiornare le nostre policy. Ci siamo sottoposti a una audit sui diritti civili e abbiamo bandito 250 organizzazioni della supremazia bianca da Facebook e Instagram”, sottolineano dalle parti di Menlo Park “Gli investimenti che abbiamo fatto in Intelligenza Artificiale ci permettono di individuare quasi il 90% dei discorsi d’odio su cui interveniamo prima che gli utenti ce li segnalino, mentre un recente rapporto dell’Unione europea ha rilevato che Facebook ha esaminato più segnalazioni di hate speech in 24 ore rispetto a Twitter e YouTube. Sappiamo di avere ancora molto lavoro da fare e continueremo a collaborare con i gruppi per i diritti civili, il Garm e altri esperti per sviluppare ancora più strumenti, tecnologie e policy per continuare questa lotta”.

La linea difensiva, piuttosto remissiva e accondiscendente, segue il drastico calo dei profitti del social registrato negli ultimi tempi: la settimana scorsa ad esempio il titolo azionario ha fatto registrare in Borsa uno dei peggiori risultati in assoluto degli ultimi mesi, con una quotazione a – 8,3%. E d’altronde lo stesso patrimonio del patron del social, stando all’indice redatto da Bloomberg, è sceso a 82,3 miliardi, facendo seguito al pessimo rendimento del valore di mercato del social che ha lasciato sul campo ben 56 miliardi di dollari negli ultimi tempi.

Questo naturalmente spiega la preoccupazione e il volersi dimostrare molto concilianti nei confronti di queste campagne di opinione, in modo non tanto diverso da quanto già capitato negli ultimi anni dopo gli scandali di Cambridge Analytica e il massacro di Christchurch; in quelle occasioni Facebook e gli altri social vennero messi sotto accusa per aver veicolato messaggi di odio e furono sottoposti a pesanti pressioni da gruppi di azione, Ong, partiti politici affinché censurassero tutto ciò che stando ai parametri di quegli stessi gruppi potesse essere definito ‘odio’. Una categoria piuttosto vasta e che non sempre va a colpire solo gruppi terroristici o davvero suprematisti e che invece molte volte incide contro la narrazione anti-globalista o genericamente conservatrice o sovranista.

Cristina Gauri

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