Germania, la truffa sui pagamenti elettronici: il caso che scuote il governo di Angela Merkel

Siamo consapevoli che godere del male, ovunque esso si riveli, non è bello. E però proprio non ci viene di metter su un viso contrito e solidale con la nazione tedesca dopo che il vento impetuoso di una truffa ciclopica ha alzato la sua gonna rivelandone i mutandoni sporchi. I giornali e i politici teutonici hanno trattato e trattano l’Italia e gli italiani come uno Stato e un popolo di scrocconi ai danni della specchiata e proba Germania, ma adesso gli tocca nascondersi dinanzi ai magheggi da taccheggiatori al supermercato di una società tedesca specialista nei “sistemi anti-frode”. Non è una battuta. La gigantesca operazione fasulla che fa traballare – e non è la prima volta – l’impalcatura di superiorità morale del capitalismo e della finanza dei crucchi è stata opera di una «azienda leader per i pagamenti online, per le soluzioni e-commerce e per la gestione dei rischi per i mancati pagamenti». 

Insomma: la numero uno nei sistemi anti-truffa. Fantastico. È la traduzione tedesca del film “Il moralista” con Alberto Sordi, l’esperto di censura cinematografica che gestiva bordelli. Non c’è niente che dia più soddisfazione dell’esibizione pubblica delle vergogne di principessine schifiltose. La Parmalat lavorava con il latte, con le mucche e le stalle. Qui invece abbiamo a che fare con la Wirecard, una delle società davanti a cui qualsiasi fighissimo analista di mercato fino a un mese fa cadeva in adorazione estatica: prima in innovazione, in trasparenza, e nei conseguenti trionfi in Borsa a Francoforte e nel mondo intero. Ed ecco che i bilanci improvvisamente tardano, non escono, sono bloccati, qualcosa non va secondo la società di revisione contabile. Davanti ai libri così limpidi, con le belle cifre che vanno sempre più su, verso i cieli dell’infinità profitto, un revisore pignolo segue le tracce di quasi due miliardi di euro. 

GIOCHI DI PRESTIGIO
Secondo i dati trascritti e sottoscritti dai manager, si tratta per la precisione di 1,9 miliardi che sarebbero stati trasferiti per investimenti in certi meravigliosi fondi delle Filippine. La banca centrale di Manila nega che siano mai passati sotto i suoi occhi simili fiumi di euro. E allora? Quei soldi c’erano sì, ma solo sulla carta, nella realtà non sono mai esistiti. Per evitare danni definitivi, e il default, il massimo azionista e fondatore della società ha confessato che – oplà, sim sala bim – tutti quei soldi fioriti nella realtà virtuale sono spariti. I prospetti-sempre-perfetti per definizione, essendo la ditta tedesca e sorvegliata da occhiutissimi organi al di sopra di ogni sospetto, invece, erano il documento di una frode contabile indecente. Erano fondi chimera, utili immaginari per gonfiare il valore delle azioni, derubando i risparmiatori. 

Una specie di vendita dell’Altare di Pergamo berlinese ai coglioni del mercato, che corrisponde alla cessione della fontana di Trevi con Totò e Nino Taranto (Totò truffa ’62): quest’ ultima era la classica autoironia masochistica degli italiani, ma i tedeschi non sanno ridere di sé stessi, non sono mai scesi da soli dal piedistallo. Bisognerà che glielo si faccia notare noi, magari dandogli una spintarella. Due osservazioni. 1- I famosi denari elettronici, che dovrebbero evitare il nero e le falsificazioni tipiche delle volgari banconote, sono il luogo e lo strumento della frode di cui sopra. Smettiamola dunque di indicare nella soppressione del contante la panacea di ogni male e di qualsivoglia evasione. La fantasia dei mascalzoni si applica meglio nei campi in cui possono far valere la propria superiorità di prestigiatori informatici. 2 – Questa vicenda della Wirecard non è il primo caso che dimostra una speciale predisposizione alla menzogna in affari e alla grande abilità dei tedeschi nel tirarsene fuori pretendendo di mantenersi immacolati. Noi abbiamo il precedente di Parmalat, è vero. Salvo scoprire che la gestione industriale era redditizia e che abbiamo fatto malissimo a cedere all’estero marchio e filiere. 

I PRECEDENTI
I tedeschi non fanno di questi errori. Diversi grandi gruppi teutonici ne hanno combinate di ogni genere, dalla frode fiscale allo spionaggio e alla corruzione, ma chi li tocca quelli? a) Volkswagen. Le emissioni del Diesel coscientemente falsificate per accedere al mercato americano. Prima ancora corruzione all’interno del Cda, con offerte di denaro e di escort ai sindacalisti. Ha già attraversato momenti difficili come ai tempi dello scandalo dei manager di circa dieci anni fa. b) Siemens. Attività di corruzione per aggiudicarsi appalti in tutto il mondo. Danni pagati per 1,5 miliardi di euro nel 2006. c) Deutsche Post. Frode fiscale del suo Ad. d) Deutsche Bank. Nel dicembre 2012 arriva l’accusa di frode fiscale in relazione alla certificazione delle emissioni di carbonio, noto anche come scandalo CO2. Inoltre, manipolazioni del tasso Libor per il mercato interbancario per cui dovrà pagare un totale di 2,5 miliardi di dollari di ammenda alle autorità statunitensi e britannici. e) Bayer. Il gruppo farmaceutico tedesco è spesso alle prese con cause miliardarie. Nel 2014 sempre negli Usa Bayer ha già sborsato 1,9 miliardi di dollari di indennizzi alle vittime del drospirenone, farmaco presente nelle pillole contraccettive. f) ThyssenKrupp. E tutti sappiamo delle condanne definitive dei manager tedeschi per le morti degli operai a Torino: nessun rispetto della vita umana. Ed eccoci a Wirecard. 

Il governo tedesco teme che lo scandalo danneggerà la reputazione della Germania. E alcuni osano addirittura sospettare che l’autorità tedesca di regolamentazione dei mercati, Bafin, è venuta meno ai suoi doveri. Tranquilli, i tedeschi ci proveranno lo stesso a inghiottirci con senape e crauti. Bisognerebbe fargli abbassare la cresta.

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