Fornero con le forbici in mano: il piano per i tagli alle pensioni

Pensioni più leggere perché adeguate al Pil. Ne avevamo parlato ieri

Le pensioni degli italiani che lasceranno il lavoro nei prossimi anni (a partire dal 2022) saranno un po’ più basse di quanto ci aspettavamo. L’impatto per ora è contenuto. Si parla di una riduzione lorda dell’assegno futuro che può arrivare a sfiorare il 3% nel 2023. Ma, questo numero, è destinato a crescere. Il meccanismo previsto dal sistema pensionistico è semplice: i contributi versati vengono rivalutati in base all’andamento dell’economia. Dunque, se il Pil è negativo, i contributi invece di rivalutarsi si svalutano e la futura pensione si ridurrà (quelle in essere non sono invece intaccate).

Ne è venuto fuori un putiferio. I sindacati sono andati all’attacco, chiedendo al governo di sterilizzare il calcolo dei futuri assegni contributivi dal crollo del prodotto interno lordo di quest’anno. Sono sul piede di guerra. Il governo, ha spiegato a il Messaggero Domenico Proietti, segretario confederale della Uil, deve correggere subito gli effetti negativi che la caduta del Pil ha sulle pensioni future. Se da una parte la rivalutazione del montante contributivo dei futuri pensionati non può essere inferiore all’1%, a seguito delle modifiche del 2015, ha aggiunto Proietti, “è altresì vero che eventuali differenze saranno recuperate negli anni successivi con effetti negativi sul futuro previdenziale dei lavoratori”.

Chi difende invece il meccanismo è l’ex ministro del Lavoro di montiana memoria, Elsa Fornero. Firmataria di una legge lacrime e sangue nel 2012 (la cosiddetta legge Fornero), la professoressa ha commentato all’Ansa: “La rivalutazione negativa dei contributi in caso di calo del Pil non è punitivo, è un criterio di sostenibilità”. La prof fa sapere che, tecnicamente, se la crescita del Pil è negativa si impoveriscono quelli che lavorano e si impoverisce chi va in pensione.

“Nel 2015 un decreto ha previsto che in ogni caso il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo come determinato adottando il tasso annuo di capitalizzazione non può essere inferiore a uno (quindi non negativo), ma salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive”. In soldoni, per non scardinare il sistema, il tasso di rendimento deve essere legato all’andamento economico.

Come abbiamo scritto ieri, tutto era già previsto nella legge Dini (anno 1995). Con questa, coloro che avevano almeno 18 anni di contribuzione nel 1995 sono stati collocati nel sistema retributivo e quindi hanno il calcolo contributivo solo dal 2012 in poi (anno di avvio della legge Fornero). Chi al passaggio tra il 1995 e il 1996 aveva invece meno di 18 anni, ricade nel sistema misto e si vede applicare il calcolo contributivo da quell’anno in poi, quindi con un peso molto maggiore.

Poi ci sono i lavoratori che avendo iniziato a versare contributi dal 1996 in avanti avranno un assegno integralmente contributivo (quindi legato al Pil): molti di loro sono probabilmente ancora lontani dalla pensione. La legge Dini prevede che i contributi versati per gli anni compresi nel nuovo metodo di calcolo, prima di essere trasformati in rendita, siano via via rivalutati con un tasso di capitalizzazione dato dalla crescita media del Pil nei cinque anni precedenti.

il giornale.it

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