Mancano i reagenti. E l’Italia li esporta

Quando arriva il kit con bastoncino e liquido di conservazione «non si ha in mano ancora niente». Senza i reagenti chimici non si possono eseguire i tamponi.

E sono i reattivi che continuano a mancare nel nostro Paese «a tre mesi dallo scoppio della pandemia». L’approvvigionamento è difficile perché la domanda è schizzata in tutto il mondo, come per le mascherine. Eppure, non è vero che in Italia non si producono. La filiera c’è, è piccola, ma esiste: «Sono delle eccellenze», spiega il presidente di Confindustria dispositivi medici, Massimiliano Boggetti. Il problema, anzi, il paradosso, è che queste aziende da due mesi stanno esportando i reagenti all’estero. Risultato? «In questo momento la maggior parte della produzione italiana di reattivi per tamponi va all’estero, e una parte di produzione estera finisce in Italia». E nel frattempo la carenza diventa strutturale. Tanto che quei cinque milioni di tamponi annunciati nelle scorse settimane per le Regioni in realtà erano solo i kit con i materiali, bastoncino e provetta, senza i reagenti chimici. Quelli si stanno ancora cercando.

La struttura del commissario Arcuri nei giorni scorsi ha lanciato una richiesta di offerta per acquisire la massima quantità di kit disponibili comprensivi di «reattivi» che si è conclusa con 59 aziende «nazionali e internazionali» che hanno risposto alla chiamata: «Un risultato importante – recita una nota di Arcuri – in un mercato che attualmente registra una saturazione della sua capacità produttiva tutti i Paesi colpiti dall’epidemia sono alla ricerca di questi prodotti; in Italia inoltre ci sono centinaia di laboratori che usano differenti kit e reagenti. Abbiamo avviato subito le verifiche tecniche e scientifiche delle singole offerte, che concluderemo prestissimo».

Ma la domanda, fa notare Boggetti, «non è quanto ora sia la capacita produttiva massima di reagenti delle aziende italiane ma quanto è la capacità residua delle aziende». Già, perché ormai, arrivati a questo punto, «le imprese hanno siglato contratti di fornitura con l’estero e non possono essere disattesi». Insomma, ne resterebbe poco per il mercato nazionale. Boggetti ricorda che fino a una settimana fa «non eravamo stati interpellati pur lavorando bene con la Protezione civile. Il commissario Arcuri ha riferito di aver contattato Farmindustria e Federchimica, peccato che a farli sono le nostre consociate di Confindustria dispositivi medici. Sono state contattate alcune nostre consociate, per sapere quale fosse la produzione massima. Ma non c’è stata chiarezza sui bisogni e su come approvvigionarsi». Un contatto negli ultimi giorni c’è stato e la richiesta lanciata sul mercato nei giorni scorsi dalla struttura commissariale è anche frutto di «un dialogo» che si è aperto con Confindustria e le imprese produttrici. Ma ora, «serve una programmazione sul lungo termine per non farci trovare di nuovo impreparati».

È evidente che finora «qualcosa è andato storto, visto che l’Italia è il Paese dove ci sono le maggiori criticità nel reperimento dei reagenti». Di certo dipenderemo sempre dall’importazione, ma è anche vero che molti di quei reattivi finora sono stati venduti sul mercato estero. «È mancata una programmazione – dice Boggetti – una ricognizione del fabbisogno italiano e dei volumi di produzione, come fu fatta invece per tutto quello che riguardava respiratori e ventilatori, per mantenere la produzione italiana sul suolo italiano. Se si vuole che la produzione italiana, poca che sia, rimanga qui, va fatto un accordo con le aziende produttrici. Di certo non possono tenere i prodotti in magazzino aspettando che l’Italia li chieda».

il giornale.it

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