Teresa Bellanova, la sanatoria per eliminare il caporalato? Tutte balle: le dieci prove

Tanto tuonò che piovve. La sanatoria dei migranti alla fine è arrivata, tra le lacrimedella Bellanova e il silenzio imbarazzato di alcuni grillini. Ma il parto non è stato indolore. Nella stessa maggioranza, infatti, molti non erano d’accordo. E per convincerli, nelle ultime settimane, ipasdaran della regolarizzazione le hanno provate tutte. Deputati, senatori, sindacalisti, studenti eintellettuali vari hanno tentato in ogni modo di spiegare perché una bella sanatoria è cosa buona egiusta, utile per gli stranieri ma anche vantaggiosa per gli italiani. Le loro argomentazioni, però,non sempre sono state convincenti. Anzi, quasi mai. Vediamole nel dettaglio 1- «Con la regolarizzazione si sconfigge il lavoro nero». Eccolo qui, il punto chiave. La teoria è molto semplice: i migranti che non hanno il permesso di soggiorno sono costretti alavorare senza contratto. Al contrario, una volta muniti di documenti potranno finalmente avere unimpiego regolare. In teoria è vero. In pratica, però, la cosa è tutt’ altro che automatica. Tanto èvero che non tutti i lavoratori in nero sono clandestini. Senza volerlo lo ha confermato RobertoSaviano, che, in un articolo su Repubblica in difesa del provvedimento del governo, ha ricordato lastoria di Paola Clemente, «49 anni, italiana, morta nel 2015 mentre raccoglieva l’uva nei campi diAndria, schiantata da un carico di lavoro abnorme per due euro l’ora», e quella di Paolo Fusco, «55anni, a cui scoppia il cuore mentre nelle campagne di Giugliano carica cocomeri, senza sosta, in pienaestate».

Insomma, se sfruttano e non regolarizzano gli italiani, perché dovrebbero regolarizzare unostraniero che ha ottenuto il permesso di soggiorno? 2- «La sanatoria serve a eliminare il caporalato». Seconda argomentazione tra le più gettonate, anchequesta con dei limiti evidenti. Intanto una legge contro il caporalato esiste già ed è stata fatta nel2016, all’epoca del governo Renzi, promossa dall’allora ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina.Per il Pd era un fiore all’occhiello, però pare di capire che non sia servita granché, visto cheadesso ci dicono che il problema si risolve con la regolarizzazione dei migranti. Ma è davvero così?Sentiamo cosa ne dicono gli interessati. Il Manifesto (non un pericoloso foglio di estrema destra) haintervistato Sandhu Singh, bracciante indiano da anni in Italia. «Regolarizzare è importante», haspiegato, «ma il problema è che a sfruttare i lavoratori sia regolari che irregolari è il padrone. Holavorato tre anni in un’azienda di Terracina, avevo il permesso di soggiorno e anche il contratto maguadagnavo 2,9 euro all’ora. È il padrone o il caporale che registra le nostre ore di lavoro e nesegna meno di dieci al mese mentre io lavoro tutti i giorni». Insomma, solo i giallorossi possonocredere che la sanatoria sia lo strumento giusto per eliminare il caporalato 3- «Non regolarizzare imigranti nei campi è un favore alla mafia». È il cavallo di battaglia di Roberto Saviano, ripreso poi
anche da molti esponenti della sinistra.

«I clan», ha scritto su Repubblica l’autore di Gomorra,«guadagnano dalle terre spesso di loro proprietà, oppure dalla percentuale che richiedono sulla fruttaraccolta e sulla movimentazione delle cassette di frutta e verdura che vanno ai mercati delle grandicittà». Poi l’affondo: «La sceneggiata dei salviniani e dei Cinquestelle contro la regolarizzazionedei lavoratori immigrati è un atto di complicità con l’imprenditoria mafiosa». Insomma, se sei controla sanatoria stai dalla parte dei clan. Questo, però, è un classico esempio di ribaltamento dellafrittata. Dicendo che con la regolarizzazione si vogliono strappare i migranti senza permesso disoggiorno dalle braccia della mafia si ammette, come denunciato da più parti, che i clan sfruttanol’immigrazione clandestina per i loro affari. Quindi, in realtà, è la politica dei porti aperti chefavorisce le cosche. Per togliere manodopera alla mafia non serve una sanatoria, basterebbecontrollare meglio i confini. 4- «La sanatoria serve a eliminare i ghetti dove vivono gli irregolari». Molti immigrati, si sa,vivono accampati in ghetti e baraccopoli. Ma stando a quanto dichiarato da diversi esponenti dellamaggioranza, il provvedimento di questi giorni servirebbe anche a migliorare la loro situazione abitativa.

Come, però, non è chiaro. Secondo le associazioni che hanno aderito alla campagna “io accolgo”, le cose dovrebbero funzionarepiù o meno così: il permesso di soggiorno porterà al lavoro in regola, il lavoro in regola garantiràun salario equo, il salario equo consentirà di affittare una casa e di abbandonare i ghetti. C’è daaugurarselo, ma è molto difficile che succederà. Torniamo ai migranti intervistati dal Manifesto.Abbas è un nigeriano, ha 42 anni, il permesso di soggiorno e vive in provincia di Foggia da 12 anni.Com’ è la sua casa? Semplice: una baracca rivestita di plastica, lamiere e assi di legno. «Il permesso di soggiorno èimportante», dice, «ma il problema sono queste baracche». Siamo sempre al solito punto: i documentinon cambieranno magicamente la vita dei migranti. In realtà, che i ghetti non spariranno da solisembra intuirlo anche qualcuno che sta al governo. Infatti la responsabilità di risolvere la granadegli alloggi è stata scaricata sulle Regioni. Se qualcosa andrà male, insomma, la colpa sarà dei governatori 5- «Bisogna mettere in regola i migranti anche per motivi sanitari».

Ha spiegato laministra Bellanova: «A tutti, italiani e stranieri, deve essere garantito lavoro legale e retribuito.Anche perché se queste persone saranno costrette a rimanere nei ghetti, irregolari e invisibili, saràun rischio enorme per la loro salute e per quella dei cittadini italiani». Il tentativo di legare lasanatoria all’emergenza coronavirus non sembra però aver avuto molto successo. Intanto, come detto, è difficile che questo provvedimento porti alla scomparsa dei famigerati ghetti. E il decreto sullaquestione più strettamente sanitaria non dice nulla. Inoltre lo stesso comitato tecnico-scientificodel governo ha espresso dei dubbi sugli effetti della regolarizzazione, che potrebbe aggravare,anziché risolvere, i rischi per la salute di italiani e stranieri. Nello specifico, in questo periodo,a preoccupare sarebbe proprio l’impiego di lavoratori «che vivono in condizioni igienico-ambientalidegradate, senza possibilità di azioni di prevenzione». 6- «Gli italiani non vogliono lavorare nei campi». Qui arriviamo a una delle teorie più facilmente confutabili. A causa dell’emergenza coronavirus e della conseguente crisi lavorativa, infatti, sono già oltre ventimila gli italiani che si sono registrati nelle banche dati delle più importantiorganizzazioni agricole. E fa impressione anche il rapporto tra italiani e stranieri. Sulla piattaforma Agrijob, di Confagricoltura, sono arrivate in poco più di un mese (dal 7 aprile)17mila domande, di cui 12mila circa da nostri connazionali. Su Jobincountry della Coldiretti, lanciatail 18 aprile, ci sono 10mila iscritti, di cui 9mila italiani. E sulla piattaforma “Lavora conagricoltori italiani”, della Cia, siamo già oltre le 2.500 richieste (2mila da italiani).

7- «La sanatoria la chiedono le aziende agricole». Ma è vero che sono state le imprese del settore achiedere di regolarizzare i migranti? Anche in questo caso la risposta è negativa. «Ci siamofocalizzati troppo sulla sanatoria», ha spiegato nei giorni scorsi a Libero il presidente dellaColdiretti Ettore Prandini, «mentre sarebbe stato importante riaprire i corridoi verdi per riportarein Italia manodopera specializzata». Che si trova, per capirsi, in gran parte nei paesi dell’Europadell’est: Romania, Bulgaria e Polonia (proprio per questo, sabato, la Coldiretti ha commentatopositivamente la possibilità di riapertura delle frontiere dal 3 giugno, senza obbligo di quarantena,per i cittadini europei: «Così si salvano i raccolti»). Inoltre, secondo Prandini sarebbe necessaria«una radicale semplificazione del voucher agricolo per consentire anche ai percettori diammortizzatori sociali, oltre che a studenti e pensionati italiani, di lavorare nelle campagne in unmomento in cui scuole, università e tante attività economiche sono rallentate». 8- «Frutta e verdura rischiano di marcire nei campi». Per quanto riguarda l’allarme sul rischio che lafrutta marcisca sugli alberi, una tirata d’orecchie al governo è arrivata pure da Aboubakar Soumahoro,sindacalista dei lavoratori agricoli che ha organizzato una sciopero per il 21 maggio: «Si preoccupanodei prodotti e non dei diritti delle persone. Siamo esseri umani, non braccia». 9- «Dobbiamo regolarizzarli perché a causa del virus non possiamo rimpatriarli». Sembra incredibile,ma in un appello per la sanatoria firmato da diversi parlamentari, europarlamentari e consiglieriregionali, abbiamo letto perfino questo: «Regolarizzare gli stranieri presenti sul nostro territorio èuna scelta di buonsenso.

Le frontiere dei Paesi di origine sono chiuse per la pandemia e quindi non cisono i presupposti per il rimpatrio. Tenere persone sul territorio nazionale in condizione diillegalità significa esporle al rischio di marginalizzazione e di sfruttamento, cose che fanno comodoa chi lucra il consenso sulla xenofobia». Ottimo esempio di come si può usare il coronavirus per leproprie battaglie ideologiche 10- «Il no alla regolarizzazione danneggia le famiglie dei disabili». «Nel 2018, con un’interrogazione, chiedevo all’allora ministro Salvini di garantire l’ingressoregolare di badanti straniere, perché tante famiglie italiane in difficoltà avevano bisogno di aiutonell’assistenza quotidiana dei loro cari. Salvini si limitò a dire che c’erano tanti italianidisoccupati e che potevano andare loro a fare i badanti». Così, su Facebook, Lisa Noja, deputata diItalia Viva, ha spiegato perché opporsi alla regolarizzazione vuol dire andare contro le famiglie condisabili. In realtà, purtroppo, i familiari dei disabili sono arrabbiati col governo per ben altrimotivi: i fondi stanziati sono pochi e l’intenzione di restringere la platea dei “beneficiati” ai soli«disabili gravissimi» rischia di creare problemi a molti. Tanto che il comitato dei caregiverfamiliari “Comma 255” ha chiesto a Sergio Mattarella di non firmare un decreto che «rischia diavallare una discriminazione nei confronti di migliaia di persone con disabilità e delle loro famiglie».

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