Bonafede sui boss liberi disinforma la Camera «Non ha detto la verità»

L a nomina del capo del Dap tocca a me e non c’è stata «alcuna interferenza né diretta né indiretta» per Nino Di Matteo. Le scarcerazioni di 376 mafiosi per Covid19 le hanno decise i giudici «in piena autonomia» e non c’entro nulla.

Alfonso Bonafede, di fronte al Parlamento, non chiarisce nulla ma si tira fuori da tutto, per rimanere ministro della Giustizia con l’appoggio di M5s e Pd, che fanno muro contro la mozione di sfiducia di tutto il centrodestra. Offeso dalle illazioni il Guardasigilli grillino sbotta che non si fa «intimorire» da nessuno e rivendica la sua «onorabilità». Però conferma il racconto di Di Matteo sulla sua offerta di dirigere l’amministrazione penitenziaria, ritirata 24 ore dopo quando il magistrato aveva detto si, arrampicandosi su motivazioni inverosimili (un ruolo troppo burocratico e amministrativo per lui? Meglio il posto che era di Falcone agli Affari penali, anche se non è più quello di una volta e neppure disponibile al momento). Insomma, più che un’informativa su una vicenda scottante, quella alla Camera è sembrata una «disinformativa» al Paese, imbarazzante e insoddisfacente. Quindici minuti di autodifesa senza basi, scomodando il conterraneo Pirandello, il «così è se vi pare» e le tante verità per dire che una sola è la sua, ma ancora non sappiamo quale.

La Lega ritma «dimissioni-dimissioni!», Forza Italia e Fratelli d’Italia attaccano duramente. Per il leghista Jacopo Morrone l’«autodifesa fa acqua da tutte le parti». Il responsabile giustizia azzurro Enrico Costa chiede una speciale sessione del Parlamento sulla giustizia e un «patto contro i forcaioli». «Ci aspettavamo delle scuse – commenta Giusi Bartolozzi di Fi -, basta inganni, dica la verità». Ed è critica nella maggioranza Italia viva, anche se non appoggia la mozione delle opposizioni. «Lei, ministro, ci ha dato la sua ricostruzione dei fatti, che giudichiamo parziale. Avrebbe potuto approfondire meglio e di più per rispetto del Parlamento», dice Lucia Annibali.

Bonafede, evidentemente, si sente con le spalle coperte, neppure obbligato a vere spiegazioni non solo sul duello con una delle toghe di riferimento dei 5S, Di Matteo, ma sull’invio ai domiciliari anche di pericolosi mafiosi e camorristi dall’isolamento del 41 bis, con il Dap che non sa indicare ai magistrati di sorveglianza strutture ospedaliere carcerarie per curarli. Di questo si lava le mani. Relega la questione a poche battute: «Riguardo alle strumentalizzazioni sulle ormai note scarcerazioni, ricordo che sono state determinate da decisioni prese, in piena autonomia e indipendenza, dai magistrati competenti (nella maggior parte dei casi per motivi di salute), sui quali, ovviamente, non c’è stato alcun condizionamento da parte del ministero o del governo». Il ministro loda il capo del Dap Basentini, scelto nel 2018 al posto di De Matteo, ma non spiega perché dopo lo scandalo di questi giorni è stato costretto alle dimissioni per far posto a Dino Petralia, insediatosi ieri, se al ministero non ha fatto errori. Scarica sulle toghe la responsabilità dei domiciliari, ma dice che il governo glieli farà rimangiare con gli ultimi due decreti legge nel giro di una settimana «per garantire una stretta sulle richieste di scarcerazione» e rivalutare quelle fatte. Un «buuuuuu» si alza dai banchi del centrodestra quando, con rabbia, Bonafede nega condizionamenti sulla mancata nomina di Di Matteo legati alle esternazioni del capi di Cosa nostra, che paventavano l’eventualità e minacciavano rivolte.

il giornale.it

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