Capitani coraggiosi in ginocchio. Le cifre della crisi: 50mila imprese rischiano il fallimento

Capitani coraggiosi. Alias imprenditori. Piccoli, medi, microscopici. Partite Iva. Che sono l’ossatura portante dell’economia italiana. Che garantiscono il gettito pubblico. Altro che evasori. Finalmente se ne parla. Non c’è intervento politico, a tutte le latitudini, che non dedichi a loro qualche passaggio. Non c’è talk show televisivo che non punti i riflettori sulle imprese. Al collasso, senza speranza. Vessate da un governo miope, cialtrone. Forse fa audience.

Capitani coraggiosi, le cifre che il governo nasconde

Intanto i giorni passano. Il 4 maggio per loro cambierà poco. Non hanno visto un euro di quelli che il governo si è impegnato  a erogare. Giuseppe Conte in persona. Con fare impettito ad assicurare che entro metà aprile tutti avrebbero avuto il giusto. Per le perdite accumulate per la chiusura forzata delle serrande. Non certo volontaria. Ma, come per le inaugurazioni delle grandi opere, le scadenze slittano. I tagli dei nastri si rimandano.

Tutti parlano dei capitani coraggiosi. Prendono a prestito i video amatoriali che corrono sul web. I filmati e gli appelli al governo di gestori di bar. Ristoranti. Pub, negozi al dettaglio. Qualcuno dà i numeri. A casaccio. Qualcun altro, come il presidente della Fipe, fornisce dati veri. Percentuali che fanno gelare le vene ai polsi.

Cinquantamila imprese rischiano di fallire

Per il Primo Maggio, Roberto Calugi, direttore nazionale della Federazione italiana pubblici esercizi, fa il bilancio. “Festa dei Lavoratori… Di tutti i lavoratori. Compresi i gestori dei nostri ristoranti. Fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo. E la dedichiamo ai nostri dipendenti. Che ancora dopo due mesi non hanno visto un euro. Della presunta cassa integrazione in deroga”. Poi arrivano i numeri. “Il settore dei pubblici esercizi “ante virus”, nel 2019 ha registrato un giro di affari vicino ai 90 miliardi di euro. Con oltre 300.000 imprese attive. E un milione e duecentomila addetti occupati. Un settore in crescita costante nel corso degli ultimi anni. Anche nei periodi più difficili della congiuntura economica. E terminale fondamentale della filiera agroalimentare italiana. Con più di 20 miliardi di euro di prodotti agricoli acquistati ogni anno”.

Il settore – continua Calugi – è stato particolarmente colpito dalla crisi economica dovuta alla pandemia. La decisione, incomprensibile, di posticipare l’apertura al primo giugno ha ulteriormente penalizzato il comparto. La stima delle perdite generali è pari a 34 miliardi di euro. Rischiano di fallire 50.000 imprese generando perdita di posti di lavoro fino a 350.000 unità. “Questi numeri sono persone, famiglie. Collaboratori e fornitori. E testimoniano storie di reale disperazione di imprenditori. Che si sentono letteralmente abbandonati dalle istituzioni. In balìa di normative complesse e a volte sovrapposte. Con la prospettiva di veder vanificati in poche settimane i sacrifici di un’intera vita“. Coraggiosi e strapazzati.

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