Sfatati i miti sul virus. Non sparirà con il caldo, lo smog non lo veicola

Non facciamoci false illusioni. Non è affatto detto che il virus si indebolisca con l’arrivo della bella stagione. O meglio, è vero che, come dice il virologo Roberto Burioni, «tutte le malattie respiratorie si trasmettono meno con il caldo».

Ed è altrettanto vero che le particelle di saliva che liberiamo nell’aria evaporano prima. Ma per il resto sembra che non ci siano correlazioni tra l’innalzamento delle temperature e l’indebolimento del Covid. Se tra qualche mese ci sarà una tregua non sarà grazie al clima ma solo e unicamente grazie alle misure restrittive che stiamo seguendo e all’utilizzo dei farmaci. Stop. I ricercatori non sanno ancora come il Covid si comporterà con il caldo. Sanno solo che i virus amano solitamente freddo e umidità. Ma hanno anche imparato che questa molecola ha un comportamento anomalo e continua a riservare sorprese.

Studi scientifici in merito non ce ne sono ancora. Ma dalle prime osservazioni dei climatologi, pare evidente che il caldo non si possa definire un’arma a nostro favore. A fare perdere le speranze nella rivincita estiva è uno studio delle Università Bicocca di Milano, Roma Tre, Chieti-Pescara, che ha analizzato sia i dati climatici della provincia di Wuhan, sia quelli di Lombardia e Veneto a partire dal 20 febbraio al 18 marzo. Sono stati presi in considerazione i risultati rilevati da dieci stazioni rappresentative, sia dei tre focolai principiali di diffusione del virus (aree di Codogno, Nembro e Vo’ Euganeo) sia delle altre province maggiormente interessate della Lombardia (Bergamo, Brescia, Cremona, Pavia). E non emergono correlazioni tra il numero dei contagi e il meteo.

Ci si era illusi, sperando che il Covid si comportasse come la Sars che, esplosa alla fine del 2002 si spense nel luglio del 2003. Ma probabilmente non sarà così. L’unica differenza sarà che, stando più all’aria aperta, avremo meno contatti rispetto a quelli invernali in una stanza chiusa.

Dall’analisi dei dati di Wuhan emerge che la temperatura di febbraio, coincidente con il picco dei positivi, è stata sì fredda, ma superiore alla media (9,2 gradi centigradi contro i 5,8 del trentennio 1971-2000). Le precipitazioni sono state invece inferiori alle medie. E nemmeno ora che l’epidemia è quasi passata nella regione dello Hubei si verificano cambiamenti climatici tali da dire che il caldo abbia ammazzato il virus.

I risultati della ricerca sono verisimili, soprattutto se si considera quello che sta accadendo in queste settimane. In Iran, dove le temperature non sono certo basse, i morti per l’epidemia sono arrivati a quota 1.685 e quasi 22mila i contagiati.

Un’altra incognita è quella della correlazione tra smog e coronavirus: ipotesi che nelle ultime ore ha sollevato un polverone nella comunità scientifica. Uno studio condotto dalla Società italiana di medicina ambientale (Sima) insieme alle Università di Bologna e di Bari, ha evidenziato un legame tra i livelli elevati di inquinamento e lo scoppio di Covid-19 in Pianura Padana. Il Cnr frena. «Il collegamento tra inquinamento e salute è scientificamente accertato ed è una reale emergenza nelle regioni più inquinate – spiega il ricercatore Federico Fierli – ma le interazioni e i meccanismi che regolano l’epidemiologia e la diffusione di un virus sono complesse per stabilire una relazione diretta sulla base di dati per ora molto limitati».

Di parere diametralmente opposto è invece Antonietta Gatti, fisica, tra i maggiori esperti di tossicità delle nanoparticelle a livello internazionale. Secondo l’esperta è plausibile che la Lombardia sia l’epicentro di questa emergenza sanitaria anche perché più esposta di altre aree del Paese all’inquinamento atmosferico dell’aria. «È stato detto che molte persone per lo più anziane (la media è 80 anni) sono morte non di coronavirus ma con il virus. Persone già debilitate, cioè con patologie anche innescate da inquinamento ambientale, non disponevano più di un sistema immunitario efficiente – sostiene Gatti – Ricordo che al momento non ci sono medici capaci di diagnosticare una patologia da polveri. In un progetto Europeo di nanotossicologia, noi abbiamo già dimostrato che cellule attaccate da nanopolveri non hanno più un sistema di difesa capace di reagire».

il giornale.it

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