Coronavirus, zona rossa il paesino che ha infettato mezza Europa

Con notevole ritardo dall’inizio del contagio coronavirus, il paesino tirolese di Ischgl, 1.500 anime, è stato finalmente dichiarato zona rossa.

Secondo quanto emerso sarebbero più di mille i turisti Nord-europei che da febbraio avrebbero contratto il Covid-19 proprio tra le sue piste innevate. Adesso le autorità locali sono finite sotto accusa per non aver preso provvedimenti in tempo. Sembra che alla base dei ritardi ci sia stata la preoccupazione di andare a compromettere la stagione sciistica.

Il coronavirus nel paesino innevato

Ischgl è infatti una meta molto frequentata e ambita da sciatori e non. Un posto glamour dove trascorrere la settimana bianca, sciando e ascoltando concerti di artisti internazionali. Fatto sta che la chiusura degli impianti è arrivata solo domenica scorsa, 15 marzo, quando ormai il danno era stato fatto. I primi contagi infatti risalgono ad almeno due settimane fa. Il 29 febbraio erano infatti rientrate in Islanda 15 persone risultate positive al coronavirus. E tutte erano state a sciare a Ischgl.

Chi frequenta i paesi di montagna sa che l’appuntamento giornaliero a cui non si può rinunciare è quello di ritrovarsi in uno dei bar principali per l’apres ski. In questo caso si tratta della baita Kitzhloch, che guarda caso era stata frequentata da coloro positivi al tampone. Il locale in questione è stato chiuso il 9 marzo perché un barman tedesco 36enne è risultato contagiato. Il resto del paese ha continuato a vivere come se niente fosse. L’Islanda aveva subito dichiarato il Tirolo zona a rischio ma non era stata ascoltata dalle autorità austriache.

Le autorità avevano minimizzato

I casi non erano isolati solo tra i viaggiatori islandesi, poco dopo hanno iniziato ad ammalarsi anche danesi, tedeschi, svedesi e norvegesi. Tutti accomunati da una vacanza a Ischgl. Lo scorso 7 marzo, come ricorda ilCorriere, Oslo dichiarò che 491 dei 1198 infettati della Norvegia erano stati a sciare in Tirolo, la maggioranza di loro a Ischgl. Ma niente, neanche davanti all’evidenza, le autorità tirolesi avevano ammesso quanto avvenuto e anzi, avevano risposto che “dal punto di vista medico non è verosimile che il Tirolo sia stato focolaio di infezione” come dichiarato dal direttore sanitario del Land, Franz Katzgraber.

E intanto la stagione sciistica continuava senza intoppi, almeno evidenti. In soldoni, gli affari invernali erano salvi. Quando poi la situazione ha iniziato a degenerare, il 13 marzo sono state individuate due zone rosse e il cancelliere Kurz ha annunciato l’isolamento della Paznauntal, coadiuvato dall’intervento dell’esercito. Quando però ormai il paesino di montagna era diventato il focolaio che aveva infettato mezza Europa. In Lombardia gli impianti sono stati chiusi sabato 7 marzo. Nel resto del Paese tre, quattro giorni dopo.

il giornale.it

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