Coronavirus, da Napoli il farmaco della speranza: “Così l’ho testato”

Arriva dall’Ospedale Cotugno di Napoli, il raggio di luce, che in questo periodo così concitato e buio ci aiuta a far ben sperare per uscire il prima possibile dall’emergenza Covid-19 dichiarata ufficialmente pandemia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Si tratta di un farmaco il “Tocilizumab” usato comunemente per l’artrite reumatoide, permetterebbe ai polmoni di “guarire” più velocemente e quindi dimezzare i tempi della terapia intensiva, vera problematica visto lo scarso numero di posti.

La notizia circolava già da ieri, ma oggi si hanno i primi risultati positivi sui pazienti in cui è stata provato. Per farci spiegare meglio la questione, abbiamo contattato il professor Paolo Asciento che ha avuto questa geniale intuizione. Il professore Asciento è presidente della Fondazione Melanoma e Direttore dell’Unità di Oncologica e Terapie innovative dell’Istituto Nazionale Tumori irccs Fondazione Pascale di Napoli.

Professore, che farmaco è quello che state provando sui pazienti e come agisce?

“Si tratta di un farmaco già esistente il Tocilizumab, che viene comunemente usato per l’artrite reumatoide. Io sono oncologo e mi occupo di immunoterapia e questo farmaco lo utilizzavo per il trattamento di alcuni effetti collaterali da immonoterapia come ad esempio le Car-T che provoca la ‘sindrome da rilascio delle citochine’. Per spiegarlo in parole povere, quando induciamo un’attivazione del sistema immunitario, (praticamente viene stimolato il sistema immunitario per reagire ai tumori ndr) si producono una grande quantità di citochine, tra cui ‘l’interleuchina6’ che può stimolare l’infiammazione acuta che è la causa più importante e pericolosa degli effetti collaterali. Questa che viene chiamata come dicevamo ‘sindrome da rilascio di chitocine’, provoca sia ipertensione ma anche un distress respiratorio molto simile a quello scatenato dall’infezione da coronavirus. Da qui l’idea di utilizzare questo farmaco anti interlochina6 nei casi da distress respiratorio provocato dal coronavirus”.

Quando avete iniziato a provarlo sui pazienti?

“Il tutto è avvenuto venerdì scorso, ci siamo riuniti per parlarne e abbiamo deciso, visto che come istituto di tumori abbiamo una collaborazione con la Cina, di chiedere ad alcuni colleghi cinesi, in particolare il Dott. Ming, se anche loro avessero avuto esperienze con questo farmaco. Ci ha risposto che l’idea era ottima e che in Cina era stato usato su 21 pazienti che hanno recuperato in 24/48 ore la funzionalità respiratoria e sono poi stati dimessi entro una settimana. Questi sono stati per noi dati molto importanti, e quindi già il sabato mattina ci siamo recati all’azienda ospedaliera Dei Colli di Napoli per trattare i primi due pazienti”.

Che risultati avete ottenuto?

“Nell’ambito dei due pazienti trattati sabato mattina, dopo 24 ore ci sono stati importanti miglioramenti, soprattutto uno che era intubato quindi non respirava autonomamente, in 48 ore la funzionalità respiratoria era tornata a livelli tali da poterlo stubare. Non lo abbiamo fatto per cautela, e abbiamo preferito l’esito della tac, per poi farlo. Di seguito abbiamo trattato due pazienti al giorno per avere un’idea del comportamento su scala più ampia”.

Farete una sperimentazione per l’uso di questo farmaco sul coronavirus?

“In questo momento l’azienda che lo produce che è la Roche lo ha messo gratuitamente a disposizione di tutti, ma così facendo non si avranno dati uniformi, invece avremo bisogno di una sperimentazione che ci dica scientificamente la validità e chi sono i pazienti che possono trarre beneficio. Per cui intraprenderemo due strade parallele: quello dell’utilizzo gratuito e quello della sperimentazione. In questo momento c’è un gruppo di lavoro tra l’ospedale Pascale e il Cotugno che ha gettato le basi per questo. Ha già scritto un protocollo che ha inviato all’Aifa (Agenzia italiana del farmaco ndr), che deciderà quali saranno i passi successivi”.

Con questo farmaco si possono quindi dimezzare i tempi di guarigione?

“E’ importante specificare che questo farmaco non agisce contro il virus, ma contro la complicazione, che è molto importante perché il problema sono le morti per la sindrome di insufficienza respiratoria, per cui funziona veramente bene nel far recuperare prima questi pazienti dalla terapia intensiva, e addirittura, come ci hanno detto i medici cinesi, anticipando il trattamento, si può fare in modo che non arrivino proprio in terapia intensiva. Questo avrebbe risolto parte dei nostri problemi, ovvero la mancanza e l’intasamento delle terapie intensive”.

Che età avevano i pazienti sottoposti al farmaco?

“La maggior parte sopra i 60 anni, con patologie associate, soprattutto ipertensione e in qualche caso diabete. Ci sono anche delle persone al di sotto dei 60 anni, dei cinquantenni e anche qualche quarantenne ma la maggior parte sono però gli over sessanta”.

Ci sono altri ospedali italiani che sotto la vostra spinta stanno utilizzando il farmaco?

“Noi siamo in contatto con le terapie intensive di Brescia, del San Raffaele, di Lecce, di Bari, di Fano dove hanno trattato un altro paziente che ha reagito benissimo, quindi bene o male il farmaco è diffuso e ripeto, essendo messo a disposizione gratuitamente chiunque ne può fare richiesta”.

Cosa è cambiato per voi con la dichiarazione di Pandemia?

“Per noi non è cambiato niente, ci dice solo che l’infezione è adesso su scala mondiale”.

il giornale.it

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