“È andato in giro per la fabbrica”: la paura dei dipendenti Unilever

I dipendenti della Serioplast, azienda che produce contenitori per i prodotti della Unilever, sede di lavoro del 38enne contagiato dal coronavirus, sono spaventati e aspettano istruzioni.

La domanda che si fanno in molti, sottolinea Il Corriere della Sera, è semplice. Riferendosi al paziente infettato dal virus, i lavoratori, un centinaio, si chiedono: “Questo qui è andato in giro per tutta la fabbrica per chissà quanti giorni, vuoi che non abbia contagiato nessuno?”. I dubbi sono tanti, anche perché ci sono aspetti da non sottovalutare, come ad esempio la mensa e i molti altri spazi che i dipendendi Unilever e Serioplast condividono tra loro.

In altre parole molti temono di essere entrati in contatto con l’uomo che adesso è ricoverato in gravi condizioni a Codogno perché colpito dal Covid-19. I dipendenti sono titubanti: vorrebbero restare a casa ma non hanno ricevuto linee guida sul da farsi. Non hanno copertura sindacale e sono in apprensione per le continue notizie che arrivano in ambito sanitario.

“Ho quattro figli – si chiede un dipendente – li stanno mandando a casa, dicono di non uscire, e io devo entrare qui dentro? Perché? In fondo produciamo flaconi, mica cose indispensabili per il mondo, se ci fermiamo un momento che male c’è?”. Nel frattempo, all’interno della Unilever, è in corso un incontro tra la rappresentanza sindacale e l’azienda. Dal vertice dovrebbero poi uscire le comunicazioni sul comportamento da seguire e le informazioni sui rischi effettivi.

Spazi condivisi e paura di essere contagiati

Ricordiamo che nel perimetro dello stabilimento, che come detto ha contatti con Serioplast, operano quotidianamente più di 500 persone, in continuo movimento e contatto tra loro. Ecco perché la notizia di un contagiato di coronavirus non lascia dormire sogni tranquilli.

La mensa, che come dicevamo è spazio condiviso tra il personale di Unilever e Serioplast, può servire circa 300 pasti. È il punto di incontro principale tra le due sedi operative ed è stato chiuso. Dunque, niente più pausa pranzo fino a chissà quando. Poi ci sono le docce, un altro luogo condiviso: “Anche lì è stato il nostro collega”, spiegano i lavoratori.

I dipendenti, intanto, hanno iniziato a far circolare da un cellulare all’altro la foto del collega ricoverato. Lavora al laboratorio di Ricerca e sviluppo e tutti quelli che sono entrati in contatto diretto con lui sarebbero stati sottoposti a test clinici. Ma la psicosi gioca brutti scherzi e tutti, adesso, si ricordano di aver avuto un contatto con il 38enne: in mensa, ai tornelli, in corridoio. “Come si fa a non essere preoccupati?”, ripetono in coro i lavoratori, molti dei quali varcano le soglie dell’azienda indossando una mascherina protettiva.

il giornale.it

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