Venne uccisa dal marito dopo 12 richieste d’aiuto: “I figli restituiscano i soldi”

Chiedono giustizia rimettendosi nelle mani dei giudici della Cassazione i figli di Marianna Manduca, la donna uccisa nel giugno del 2007 dal marito Saverio Nolfo.

I ragazzi, di cui un maggiorenne e due minorenni, a seguito della morte della mamma e dell’arresto del padre, condannano a 21 anni di carcere, sono stati adottati dal cugino della vittima, Carmelo Calì con la moglie. I tre orfani, nel corso di un processo alquanto complicato, hanno ottenuto in primo grado un risarcimento di 250mila euro da parte dello Stato. La somma in questione è stata utilizzata dai genitori adottivi per realizzare un B&B che ha consentito ai ragazzi di poter crescere, studiare ed essere mantenuti. Adesso vi è il rischio di dover restituire quel denaro allo Stato e, la possibilità, genera non poche preoccupazioni tra i tre fratelli e la coppia che li ha adottati. Ricostruiamo quanto accaduto nel corso i questi anni partendo dall’inizio.

Marianna Manduca, viveva nel territorio di Palagonia, in provincia di Catania. Dal matrimonio con Saverio Nolfo erano nati tre bambini. Il loro rapporto coniugale è stato però sempre difficile. La donna era continuamente vittima dei maltrattamenti del marito. L’uomo la picchiava, l’insultava, la minacciava. Spesse volte ad assistere alle terribili scene di violenza vi erano anche i tre figlioletti. Una situazione impossibile da sopportare per Marianna, la quale, più volte, armata di coraggio e dalla speranza di poter essere aiutata, si era recata negli uffici delle forze dell’ordine per sporgere denuncia e chiedere aiuto. Ben 12 le denunce firmate dalla donna. Le sue richieste di aiuto in quel periodo, purtroppo, non erano state sufficienti: Marianna, poco dopo è stata uccisa dal marito.

In quel periodo l’ordinamento giuridico non prevedeva ancora le leggi sullo stalking ed era complicato arrestare l’uomo prima di arrivare a quel tragico epilogo. Ma è anche vero che la donna era stata in grado di fornire alcune prove schiaccianti che avrebbero consentito l’arresto del marito sulla base di alcuni reati, come ad esempio, la minaccia a mano armata. Nulla in quel periodo è stato fatto per evitare quello che poi è successo.

Dopo la morte della donna, i genitori adottivi dei tre bambini hanno avviato una causa contro lo Stato che, secondo la loro accusa, non era stato capace di difendere Marianna da morte certa. La sentenza di primo grado ha dato ragione a questa tesi riconoscendo la responsabilità dei magistrati di Caltagirone che, di fronte alle denunce della donna, non avevano condotto le indagini del caso e nemmeno applicato le misure necessarie per neutralizzare la pericolosità del marito della vittima.

Lo scorso marzo la Corte d’Appello di Messina ha annullato quel risarcimento accogliendo il ricorso della Presidenza del Consiglio dove è stato sostenuto che i magistrati di Caltagirone avevano fatto il possibile, considerando all’epoca l’assenza di una legge sullo stalking. La sentenza in questione è stata impugnata dalla famiglia di Marianna di fronte alla Cassazione. Purtroppo, nel corso dell’udienza, il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Una situazione molto delicata per i tre orfani che proprio grazie a quel risarcimento sono stati cresciuti dai loro familiari. Si tratta di tre giovanissimi che devono ancora completare il loro percorso di studi. L’eventuale restituzione di quelle somme rappresenterebbe per loro un danno di non poco conto. “ La storia di questa donna- dice il difensore legale Licia D’Amico ad Adnkronos-è stata costellata da decine di reati sentinella. All’epoca non c’era la legge sullo stalking ma il codice penale sì. E se c’è una sentenza come quella della Corte d’Appello che ha negato il risarcimento ai tre figli di Marianna e che dice che questo femminicidio non poteva essere evitato allora va spiegato che senso ha dire alle donne di denunciare”.

il giornale.it

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