L’economia degli Stati Uniti spicca il volo

L’economia degli Stati Uniti non è mai stata così bene. Tutti i suoi più importanti indicatori segnano valori positivi: Il prodotto interno lordo, costantemente affiancato al segno più, continua a crescere così come crescono consumi e salari (questi ultimi hanno registrato un +1,5% nel periodo compreso tra l’agosto 2018 e l’agosto 2019). Allo stesso tempo diminuisce la disoccupazione, che lo scorso agosto era ferma al 3,7%, e sale la quota di occupati, aumentati di oltre 6 milioni di unità. A godere del quadro idilliaco è Donald Trump, il presidente in carica che potrebbe (e dovrebbe) spingere su questa leva economica per sbaragliare la concorrenza in vista delle prossime elezioni presidenziali previste per il prossimo 3 novembre 2020. Certo, non tutti i meriti sono di The Donald, visto e considerando che gli Stati Uniti stanno attraversando una fase positiva praticamente ininterrotta dal 2010, cioè dagli anni in cui l’inquilino della Casa Bianca rispondeva al nome di Barack Obama. È però pur vero che Trump ha attuato le giuste politiche che hanno permesso all’economia di continuare a crescere, come ad esempio la deregulation e il taglio delle tasse aziendali e la spinta nei settori dell’energia, della difesa e aerospaziale.

Un periodo d’oro

Trump sa bene che l’economia statunitense corre come un treno, e non perde occasione per ricordarlo al mondo intero. Pochi giorni fa, di fronte all’Economic Club, a New York, il tycoon ha detto chiaramente che “l’economia americana, con me, è la migliore di sempre”. L’affermazione è corretta e non può essere bollata dai progressisti come una fake news. Eppure bisogna fare una considerazione: quello che dice Trump è vero, ma è una verità parziale. L’economia Usa sta attraversando una fase d’oro, ma da qui ai prossimi mesi gli esperti non escludono contraccolpi. I motivi sono molteplici, e al primo posto c’è la guerra commerciale con la Cina, seguita dalle tensioni con l’Europa e le scaramucce varie con Iran e Siria. In ogni caso, nei primi tre mesi del 2019 il pil degli Stati Uniti è cresciuto del 3,1%, sceso poi al 2% nel secondo trimestre e all’1,9% nel terzo. Gli analisti prevedono che nei prossimi quattro trimestri la crescita americana sarà più debole, con una frenata stimata tra +0,3% e +0,4%, mentre per il 2019 è stata stimata una percentuale di crescita superiore al 2% ma inferiore al 5,5% del 2014. Per evitare che il rallentamento possa consolidarsi, Trump ha pronta una nuova mossa: un taglio di tasse che a partire dal 2020 riguarderà le classi medie. Si parla di un’aliquota unica per le imposte sul reddito federali pari al 15%.

Petrolio e gas

La ciliegina sulla torta, che corona il periodo da sogno degli Stati Uniti, è rappresentata dal petrolio. Già, perché gli Usa sono ora i più grandi produttori di petrolio al mondo. Un record, ricordiamolo, che va di pari passo con quello inerente l’estrazione di gas naturali. In questo caso il merito è di Trump, visto che è grazie alla deregulation voluta dalla sua amministrazione che il settore energetico ha spiccato il volo. Dati alla mano, l’indotto ammonta al 7,6% del pil e al 5,5% dell’occupazione (6,7 milioni di lavoratori). Negli ultimi dieci anni la produzione di greggio è più che raddoppiata (quest’anno del +9,4%) e oggi tocca i 12,8 milioni di barili al giorno. Molti dei quali, va da sé, esportati in giro per il mondo con entrate monetarie non indifferenti. Trump dovrà essere bravo a utilizzare questi numeri da qui al prossimo novembre: una missione non proprio impossibile.

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