Morto Vladimir Bukovsky, denunciò i manicomi per dissidenti del regime sovietico

Fu tra i primi a denunciare gli ospedali psichiatrici dove venivano rinchiusi i prigionieri politici nell’Unione sovietica.

Lui stesso trascorse dodici anni tra prigioni, campi di lavoro e ospedali psichiatrici. La sua colpa? Essere contro il regime comunista di Mosca. Lo scrittore russo Vladimir Bukovsky è morto a 77 anni a Cambridge (Regno Unito), dove viveva dal 1976.

Espulso da scuola a diciassette anni, per aver fondato un giornalino non autorizzato (e da lui diretto), per tutta la vita portò avanti la lotta contro la dittatura comunista e chi, attraverso di essa, intendeva sopprimere la liberà dei cittadini. Ne pagò le conseguenze in prima persona, con i suoi dodici anni di vergognosa prigionia. Riottenne la libertà nel 1976, grazie a uno scambio di prigionieri tra l’Urss e il Cile di Pinochet. Da quel momento si trasferì a Cambridge, dove ha vissuto e insegnato per decenni.

“Militante dei diritti umani, scrittore, cittadino russo, ha trascorso 12 anni nei campi e negli ospedali psichiatrici e passato metà della propria vita in esilio. Il governo sovietico lo chiamò bruto, noi lo chiamiamo eroe e gli diciamo grazie”, ha scritto su Twitter l’ong Memorial, principale organizzazione russa per i diritti umani.

Dall’esilio Bukovsky continuò a combattere la sua battaglia contro il regime comunista, denunciando anche le complicità dell’Occidente con i sovietici degli anni ’80. Dopo il crollo del Muro di Berlino mantenne uno sguardo critico verso il suo Paese, dove, come ebbe a dire in più di un’occasione, “non c’è più il comunismo ma ci sono troppi comunisti al potere e poca libertà economica e civile”. La sua critica si concentrò anche verso il dirigismo dell’Unione Europea, che accusò di essere “a immagine e somiglianza dell’Unione Sovietica”.

Con i Comitati per le libertà (nati nel 1997 e di cui fu nominato presidente nel 2001) insieme allo storico Stéphane Courtois (LIbro nero del comunismo) e al giornalista e scrittore dario Fertilio si impegnò per la celebrazione annuale di una giornata di commemorazione delle vittime dei Gulag, denominata Memento Gulag.

Nel 2007 decise di candidarsi per la carica di presidente della federazione russa, in programma l’anno successivo. Una nuova sfida controcorrente per lui, deciso a non mollare mai di un centimetro in nome della lotta per la libertà. La sua candidatura non fu ammessa per vari motivi: dissero che non aveva vissuto in Russia negli ultimi dieci anni, misero in discussione la sua attività di scrittore e sottolinearono, quasi fosse una colpa, il suo permesso di lavoro nel Regno Unito. Vani furono i ricorsi per ottenere la possibilità di candidarsi. Di sicuro non avrebbe vinto, ma sarebbe stato una boccata d’ossigeno per la libertà in Russia.

il giornale.it

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