Superstangata da 12 miliardi Pronta la manovra anti-Italia

Tasse, solo tasse, nient’altro che tasse. Non può, infatti, definirsi pienamente realizzato quello che è stato decantato sin dall’inizio come obiettivo del governo giallo-rosso, ossia il disinnesco delle clausole Iva con conseguente mantenimento della pressione fiscale sui livelli attuali, per altro già elevati (41,8% nel 2018).

Il Documento programmatico di bilancio, varato dal governo Conte-bis nella notte di mercoledì scorso, prosegue comunque sulla strada di un inasprimento del prelievo.

A spiegarlo sono le tabelle dello stesso rapporto che mostrano come la sterilizzazione degli aumenti Iva, da sola, non sia sufficiente a evitare la solita stangata. La pressione fiscale in rapporto al Pil a politiche invariate (cioè senza il reperimento dei famigerati 23,1 miliardi) sarebbe salita dal 41,9% atteso quest’anno al 42,7 per cento. Con l’intervento che sarà contenuto nella legge di Bilancio, però, l’incremento non si arresta ma prosegue: si passerà, infatti, dal 41,9 al 42%, dunque un aumento di un decimo di punto percentuale, pari all’incirca a 1,8 miliardi di euro.

Ne consegue che di quei 23,1 miliardi che sarebbero dovuti entrare in cassa solo 12,6 miliardi ci vengano effettivamente «condonati». In realtà, la dinamica si articola secondo un percorso diverso da quello della semplice aritmetica. Perché, a fronte di una sostanziale invarianza delle imposte sulla produzione e sull’import al 14,3% del Pil (con le clausole sarebbero salite al 15,3%), vengono fatte aumentare dello 0,3% del Pil le entrate correnti su reddito e patrimonio (dal 13,8 atteso al 14,1%, equivalenti a 5,4 miliardi). Insomma, si tassano meno i consumi per battere sul tasto delle patrimoniali.

Ma, questi soldi prelevati, dove vanno a finire? Sono destinati per uno 0,2% di Pil (3,6 miliardi) a un aumento delle prestazioni sociali che passano dal 23,1 atteso al 23,3% del Pil. Insomma, il Documento programmatico di bilancio, firmato dal premier Giuseppe Conte e dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ci mostra in nuce quella che è la reale politica economica di un governo di sinistra: più patrimoniali per ridistribuire ai redditi bassi. Come se tassare la ricchezza fosse un modo per diminuire la povertà.

Basta, infatti, leggere l’impostazione delle coperture della approvanda manovra 2020 per comprendere quale sarà la musica. Accanto ai 14 miliardi di flessibilità che si spera che la Commissione Ue sono previsti interventi per circa 15 miliardi di euro. Nel dettaglio, si legge, nel documento «le azioni di revisione e rimodulazione della spesa pubblica a livello centrale consentiranno di reperire risorse per circa 2,7 miliardi». Questo significa che, ancorché non si intervenga ulteriormente sul fronte delle tax expenditures, restano 12,3 miliardi (0,7% del Pil) da coprire con attraverso gabelle e balzelli. L’elenco (che negli articoli a fianco si può esaminare nei suoi dettagli) va dalla rimodulazione selettiva delle agevolazioni fiscali e dei sussidi dannosi per l’ambiente alla «plastic tax» per oltre 2 miliardi di euro. La stretta anti-evasione contro partite Iva e negozianti vale altri 3,2. A questi si aggiungono 4,3 miliardi recuperati dai maggiori controlli sugli autonomi e dal solito accanimento sulla deducibilità degli oneri sui crediti all’aceto delle banche e sui giochi e videolotterie. Cosa manca per arrivare a quei 12,3 miliardi? Solo 3 miliardi che vengono dal rinvio al prossimo anno di maggior entrate derivanti dagli Isa, i nuovi studi di settore che si stanno rivelando letali come i precedenti.

Insomma, è una manovra della quale tutto si può dire tranne che sia patriottica perché penalizza chi produce e aiuta chi non fa nulla.

il giornale.it

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