Per firmare ha firmato, del resto non poteva farne a meno. Se non l’avesse promulgata, il Quirinale sarebbe finito nella bufera, preso di mira come il centro di potere che non vuole chiarezza sulle truffe ai risparmiatori.

Ottimo materiale per la campagna elettorale gialloverde. Ma il via libera di Sergio Mattarella alla commissione sulle banche è accompagnato da condizioni durissime, elencate da una lunga lettera di accompagnamento e sintetizzabili così: non può essere un tribunale del popolo. Subito sarà battaglia sul presidente. Gianluigi Paragone, ex conduttore della rissosa Gabbia, non può piacere al Colle ma sul suo nome i grillini tengono duro. «Non sono in cerca di scalpi», assicura lui mentre si fa fotografare davanti al murales dedicato a Massimo Troisi con la scena della lettera a Savonarola. «Non vogliamo vendette – fa sapere Luigi Di Maio – solo un percorso di verità». E Giuseppe Conte si è messo già in contatto con il capo dello Stato: «Terremo conto delle indicazioni, però nessun veto sui singoli».

Come andrà a finire? Decisivo sarà l’atteggiamento della Lega, che pare punti su Roberto Calderoli: il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, considerato da M5s una quinta colonna del Quirinale, in queste ore è visto con molto sospetto. La partita è solo all’inizio, passerà almeno un mese prima che i partiti indichino ai presidenti delle Camere i componenti della Commissione. E quando la lista sarà completa, Elisabetta Casellati e Roberto Fico avranno dieci giorni per convocare la prima riunione, nella quale si dovrà eleggere il presidente.

Mattarella è preoccupato, teme che si trasformi tutto in una corrida, in una gogna in cui processare senza andare troppo per il sottile tutto il sistema bancario italiano. Per questo indica un perimetro preciso in cui muoversi. Ma se applicate, le avvertenze del Colle depotenzierebbero la commissione. Di Maio non vuole uno scontro frontale con il Quirinale e Bankitalia. Risparmi, industrie, conti pubblici, spread: troppi rischi. Quindi alla fine potrebbe pure mollare Paragone, soprattutto se non troverà sponda in Matteo Salvini. Intanto però i cinque stelle si accontentano del primo passo, la firma. «Le lettere di accompagnamento non possono diventare la glossa interpretativa delle leggi». Dice Stefano Buffagni. «Bene le raccomandazioni, ma noi tuteleremo le prerogative del Parlamento, Vogliamo andare fino in fondo per fare ordine e pulizia nel rispetto degli impegni presi con i cittadini».

Tutto ciò non basta a tranquillizzare il capo dello Stato. Per come è scritta, la legge ha poteri così estesi e un campo di indagine così vasto da poter creare conflitti con tutti, siano organi dello Stato che di garanzia. Da qui il tentativo del Quirinale di circoscrivere il campo e di mettere al riparo la Banca d’Italia, come già fece con successo all’epoca di un analogo tentativo di Renzi di mettere il cappello su Palazzo Koch. Dunque, no al controllo «del credito»: l’eventualità che «soggetti, partecipi dell’alta funzione parlamentare ma pur sempre portatori di interessi politici, possano condizionare l’erogazione di finanziamenti o di mutui e le scelte di investimento delle società» è un’attività «decisamente fuori della Costituzione». Occorre poi, si legge, evitare che la commissione si sovrapponga «quasi si trattasse di un organismo ad esse sopra ordinato, a Banca d’Italia, Consob, Ivass, Covip, Bce: ciò urterebbe con il loro carattere di Autorità indipendenti». Infine, il nuovo organismo non deve «interferire» con la magistratura. E i presidenti delle Camere dovranno «vigilare».

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