Così i giudici facevano i soldi: arrestano l’imprenditore innocente e gli chiedono 550mila euro per farlo uscire

Giuliano Foschini per ”la Repubblica

Nel gennaio del 2006 questo signore, Francesco Casillo, uno dei più importanti importatori di grano del mondo, finì in galera con un’ accusa orrenda: «Ha comprato grano cancerogeno. E ora tutta la pasta italiana è a rischio» titolarono tutti i giornali e le tv italiane. Quelle accuse si sono poi rilevate infondate, visto che Casillo è stato assolto in un normale processo. Dietro questa storia ce n’ è però un’ altra, che non è mai stata raccontata fino a oggi.

E che Casillo ha messo a verbale nelle scorse settimane davanti alla procura di Lecce. I magistrati che condussero quell’ indagine erano il pm Antonio Savasta e il gip Michele Nardi, oggi in galera con l’ accusa di corruzione in atti giudiziari. «E io e la mia famiglia – racconta oggi Casillo – abbiamo pagato, attraverso un loro intermediario, 550mila euro per uscire dal carcere». La procura di Lecce ha subito effettuato i primi riscontri al racconto di Casillo. I reati sono prescritti. Ma la testimonianza dell’ imprenditore serve a rafforzare l’ accusa di associazione a delinquere che viene contesta ai due magistrati.

Casillo, cominciamo dall’ inizio. «Mi arriva il provvedimento di un sequestro di alcuni terreni per reati ambientali. Vengo avvicinato da una persona vicina ai due magistrati e mi dice: ti conviene nominare questo avvocato. Io lo mando a quel paese».

Poi che accade?

«Scoppia una polemica per un carico di grano canadese che io e altri sei imprenditori avevamo acquistato dal Canada. Per la procura di Trani è tossico. Noi l’ avevamo comprato dal governo canadese, ero certo fosse tutto in regola. Comunque sequestrano la nave, addirittura arrestano i tecnici dei due centri analisi. Noi imprenditori ci riuniamo nello studio di un importante avvocato e un mio collega mi dice: “Ce l’ hanno con te. Ti conviene andare da questo avvocato”. Capisco che sto finendo in un brutto gioco, ma lascio cadere. Dopo qualche giorno mi arrestano, unico tra gli imprenditori».

Sulla bontà di quel carico di grano ci sono pareri contrastanti. Ci sono state anomalie nel campionamento.

«Non scherziamo. Il grano era buonissimo. Comunque, io sono in galera e fuori accadono delle cose.Quel pomeriggio un amico di famiglia viene avvicinato da emissari dei magistrati. Gli dicono: domani arresteranno i due fratelli e la sorella di Francesco Casillo per un’ altra inchiesta, quella sui terreni. La storia è la stessa: “Andate da questi due avvocati”. E fanno loro il nome di due legali poco noti ma amici dei due».

Chi sono gli avvocati?

«I nomi sono nei verbali della procura di Lecce».

Poi che accade?

«La mattina dopo, come annunciato, vengono arrestati mia sorella e i miei due fratelli. In carcere. L’ amico di famiglia corre da uno dei legali che erano stati indicati per chiedere il da farsi. Quello dice: “Costo un milione di euro, 250mila a fratello”».

Che significa?

«Chiese un milione di euro per risolvere la questione.

Promettendo di poterlo fare immediatamente. Aggiunse una cosa: “Questa cosa non deve saperla Francesco”, cioè io.

Temevano che avrei potuto rovesciare il tavolo».

Disse che quei soldi sarebbero arrivati ai magistrati?

«Da quel che so, mai chiaramente. Ma il sottotesto era chiaro. Anche perché poi accadde qualcosa».

Cosa?

«L’ amico di famiglia chiese una prova che, effettivamente, se avessimo pagato saremmo usciti di galera».

Come in un sequestro.

«Come in un sequestro. E mia sorella, incredibilmente, dopo poche ore dal suo arresto fu scarcerata».

Gli altri?

«Contrattarono il pagamento di 400mila euro a nero. Più 150mila euro fatturati. A ogni versamento, dopo poche ore, tiravano fuori un fratello. Uscì anche io».

Le dissero quello che stava succedendo?

«No, l’ ho saputo dopo l’ assoluzione».

L’ hanno comunque portata a processo.

«Il mio avvocato, che nulla sapeva di questa storia, mi disse: “Savasta dice che dobbiamo patteggiare. Altrimenti ti fa chiudere i rubinetti dalle banche e ti manda la Finanza in azienda”. Ero certo di essere innocente. Ma i miei fratelli, che sapevano cosa era accaduto, insistettero per chiudere la cosa. Firmai un patteggiamento: rischiavo 12 anni di carcere, chiusi a 3mila euro di multa. Savasta tenne l’ accordo due anni nel cassetto. Poi la mandò al giudice per la ratifica. Ma gli tornò indietro: se davvero avevo avvelenato mezzo paese, scrisse giustamente il magistrato, come potevo cavarmela così?».

Quindi?

«Abbiamo fatto regolarmente il processo e sono stato assolto».

Perché ha deciso di denunciare? Ormai per lei era un capitolo chiuso.

«È una ferita che non si chiuderà mai. Ma era giusto che tutti sapessero. Non deve accadere più».

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