Zingaretti? Si avvalse della facoltà di non rispondere ai PM che indagavano su Mafia Capitale. E gli italiani hanno pure pagato per votarlo!

Il day after delle primarie del PD ci presenta il nuovo segretario di partito. Luca Zingaretti, attualmente Presidente in carica della Regione Lazio sarà la nuova guida. Ma non ti sanno o si ricordano chi sia Zingaretti. Vi rinfreschiamo la memoria noi:

Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio doveva essere sentito in Aula in occasione del processo contro Mafia Capitale, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. A differenza della Campana che si è celata dietro molti “non ricordo” (tanto da rischiare nei prossimi mesi un’indagine per falsa testimonianza), il governatore ha preferito fare scena muta. Zingaretti era finito nei guai dopo alcune dichiarazioni di Salvatore Buzzi rese nel giugno 2015, che gli sono costate le accuse di corruzione e turbativa d’asta.

Il ras delle coop raccontava tra le altre cose di un ruolo del governatore nella spartizione dei lotti di una gara d’appalto (“gara del calore”) indetta dalla Regione. Buzzi riferisce di averlo saputo da Luca Gramazio (ex consigliere regionale del centrodestra, anche lui sotto processo in primo grado) che smentisce. I Pm decidono di chiedere l’archiviazione con questa motivazione: “La natura de relato di parte delle dichiarazioni di Buzzi, e l’assenza di conferme da parte di Gramazio sono elementi che impongono l’archiviazione”.

Dopo quelle accuse, Zingaretti ha sporto denuncia contro Buzzi e adesso lo attende “il processo a suo carico”, ha detto ieri. Ma prima di dedicarsi ai testimoni, nell’aula bunker di Rebibbia, ieri mattina, per qualche minuto il problema non era la presunta Mafia Capitale che si sta processando. Ma un articolo del Fatto Quotidiano pubblicato lunedì scorso dal titolo “Obiettivo: insabbiare Mafia Capitale” e un altro del Sole 24 Ore che riprendeva una sintesi dell’intervento al convegno in Cassazione sul tema “Il processo di mafia trent’anni dopo” del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone.

L’avvocato Alessandro Diddi, difensore di Salvatore Buzzi detenuto con l’accusa di essere il braccio destro dell’ex Nar Massimo Carminati, ha chiesto di acquisire gli articoli per segnalare come questi possano condizionare l’imparzialità del Tribunale. Il problema, quindi, ieri erano i giornalisti del Fatto, peraltro – ci bacchetta il legale – poco presenti in aula durante le udienze ma attivi quando si tratta di dedicare paginoni alla presunta mafia a Roma. Di “forme di pressione psicologica sul Tribunale” poi, parla invece un altro avvocato intervenuto a sostegno del collega Diddi.

I magistrati, però, si sono opposti alla richiesta di acquisire gli articoli di giornale: non si può fare la rassegna stampa ogni mattina, anche perché è irrilevante ai fini del processo. E sulla stessa linea l’avvocato di Libera, Giulio Vasaturo, che invece ha sottolineato l’importanza del lavoro giornalistico e del diritto costituzionale di cronaca.

Il Tribunale, presieduto da Rosanna Ianniello dà ragione alla Procura: i pezzi del Fatto e del Sole 24 Ore così non finiscono agli atti. Vengono invece acquisiti altri articoli, quelli pubblicati anni fa sul quotidiano Cinque Giorni. L’editore è Giuseppe Cionci, l’imprenditore anche lui accusato da Buzzi. Cionci, dopo l’interrogatorio dell’ex presidente della 29 giugno è stato indagato per corruzione.

E anche per lui la Procura ha chiesto l’archiviazione. Come Zingaretti, anche l’imprenditore romano ha denunciato Buzzi per calunnia spiegando come il giornale di cui è editore da tempo aveva svelato “inciuci tra le cooperative sociali, vicine al centro sinistra, facenti capo a Buzzi e Alemanno”. Nella richiesta di archiviazione per Cionci scrivono i pm: “L’esistenza della grave inimicizia segnalata costituisce un ulteriore elemento di sospetto delle dichiarazioni di Buzzi idoneo a depotenziare la valenza accusatoria delle sue indicazioni con riferimento a Cionci e ai soggetti con i quali questi avrebbe commesso le azioni delittuose”. Già due giorni fa in udienza, la procura aveva ottenuto di far finire agli atti tre articoli su Cinque Giorni, in uno “si fa riferimento a minacce di rivolte ai giornalisti”.

Acquisito un pezzo pubblicato il 5 aprile 2011 che titolava “Alemanno a tavola con le cooperative” e metteva in pagina le foto di una cena alla presenza anche di Buzzi. E agli atti ci è finito anche un altro articolo del 27 aprile 2012 pubblicato sempre sullo stesso giornale: “Vogliono spararci”. La colpa del quotidiano è stata quella di essersi occupato dei punti verdi qualità, che dovevano essere un’occasione di rilancio delle periferie romane e invece sono risultati essere spesso uno spreco di soldi pubblici: molte delle strutture ora sono abbandonate o inutilizzate.

Al direttore editoriale Giuliano Longo è arrivata anni fa una lettera di minacce: “Longo Giuliano hai rotto il cazzo con i punti verdi, pensa ad altro stronzo. Ti faccio un regalo adesso. Ti avverto, poi ti trovo e ti sparo”.

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