La vergogna nascosta: Norma e le altre 11mila vittime della violenza comunista

Il massacro, il genocidio, l’orrore, che colpì le zone di Trieste e dell’Istria dopo l’8 settembre del 1943 e che la sinistra cerca ancora di far passare sotto silenzio

Il 10 febbraio è la “GIORNATA DEL RICORDO”: il ricordo di un massacro, di un genocidio, di un orrore, che colpì le zone di Trieste e dell’Istria dopo l’8 settembre del 1943. Una ricorrenza che spesso viene fatta passare in silenzio soprattutto là dove le istituzioni locali sono governate dalla SINISTRA, e colpevolmente non danno una rilevanza significativa a questo evento. La vergogna delle foibe tende ad essere taciuta, nascosta ed emarginata da una precisa parte. In certe occasioni, in discussioni di carattere culturale, storico e politico, si ha l’impressione che le ferite della guerra civile che fu combattuta in Italia dopo l’8 SETTEMBRE DEL ’43 non si siano ancora chiuse. Esse non potranno mai guarire del tutto, ma faranno forse un po’ meno male se tutti riconosceranno i propri errori, se tutti si sforzeranno di ammettere che le colpe non furono solo di alcuni, e che la follia collettiva rese carnefici l’uno dell’altro coloro che fino a poco tempo prima erano fratelli.

Oggi uno dei temi più drammatici che colpisce la società è quello relativo alle violenze contro le donne, violenze di ogni tipo che purtroppo in molti casi sfociano anche nell’omicidio. In questa occasione è quindi opportuno ricordare uno degli episodi più cruenti di quel periodo che riguarda proprio una donna, NORMA COSSETTO, protagonista del film “Red land – Rosso Istria” in questi giorni in programmazione, purtroppo solo in poche sale. La trovarono supina, nuda, le esili braccia legate dal fil di ferro, entrambi i seni pugnalati, il volto pieno di lividi, il corpo sfregiato e un pezzo di legno conficcato nelle parti intime. LA TROVARONO A 136 METRI in una di quelle cavità carsiche del terreno, buchi che nascondono profonde grotte che da quelle parti, in Istria, chiamano FOIBE. La trovarono il 10 dicembre 1943 i vigili del fuoco di Pola guidati dal maresciallo Arnaldo Harzarich. Ci misero ben poco a capire chi fosse, tutti da quelle parti la conoscevano: era una bella ragazza che andava in giro in bicicletta per cercare materiale per la sua tesi. La formalità dell’identificazione da parte di un parente fu uno strazio: a eseguirla fu lo zio, che riconobbe sul suo corpo varie ferite d’arma da taglio e altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri. Non c’era dubbio: i PARTIGIANI COMUNISTI TITINI dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia avevano infierito sino alla fine. Doveva aver sofferto le pene dell’inferno… povera Norma!

Classe 1920, apparteneva a una nota famiglia di possidenti: il padre Giuseppe Cossetto era un dirigente locale del PARTITO NAZIONALE FASCISTA e aveva ricoperto anche l’incarico di commissario governativo delle Casse Rurali e podestà di Visinada. Nel 1943, all’epoca dei fatti, era ufficiale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e in seguito all’Armistizio dell’8 settembre fu trasferito presso il Comando della Milizia di Trieste. Anche lui come Norma fu ucciso e infoibato, pochi giorni dopo la figlia. Norma dopo essersi diplomata brillantemente, nel 1939, presso il Regio Liceo Vittorio Emanuele III di Gorizia, si iscrisse all’UNIVERSITÀ DI PADOVA. Poi, come avveniva a quel tempo, a partire dal 1941 alternò lo studio a supplenze scolastiche nei paesi di Pisino e Parenzo, mentre aveva deciso di aderire ai Gruppi Universitari Fascisti di Pola. L’estate 1943 la passò a preparare la sua tesi di laurea che doveva intitolarsi “ISTRIA ROSSA” o “Rosso Istria” (un riferimento alla terra color rosso perché ricca di bauxite dell’Istria) seguita dal professor Arrigo Lorenzi. Nelle calde mattine e negli afosi pomeriggi girava per municipi e canoniche, alla ricerca di archivi che le consentissero di sviluppare la sua tesi di laurea. Proprio mentre viaggiava in bicicletta, un giorno, fu fermata e arrestata dai partigiani: era il 27 settembre.

Per gran parte dell’estate tutto era scorso tranquillo anche se verso la fine della stagione l’atmosfera iniziò a farsi pesante e dopo l’8 settembre la famiglia, come molte altre, cominciò a ricevere minacce armate, come ricorda la sorella Licia: “CI HANNO PORTATO VIA TUTTO. Si sono presi anche le divise di papà, che in seguito hanno indossato cucendoci sopra la stella rossa… Una volta hanno anche sparato in casa. La mamma era terrorizzata e anche noi ragazze. Tuttavia, Norma era un po’ più ottimista e sperava che tutto questo disordine anche morale si dissolvesse presto”. Il 26 settembre 1943, un giovane partigiano di nome Giorgio si era recato a casa dei Cossetto convocando Norma al Comando partigiano nell’ex caserma dei Carabinieri di Visignano. Qui era stata interrogata, poi le era stato chiesto di entrare nel movimento partigiano. “NO” era stata la sua risposta secca, decisa. I partigiani, guardandosi tra di loro, le avevano indicato l’uscita. Il giorno dopo NORMA FU ARRESTATA, insieme ad altri civili che avevano rifiutato di collaborare. Furono confinati tutti nell’ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo, per essere poi trasferiti nella scuola di Antignana dove i partigiani si erano spostati, per sentirsi più sicuri vista l’avanzata dei tedeschi, che nel frattempo avevano occupato la vicina Visinada.

Lì, in quella scuola trasformata in prigione, dove magari avrebbe potuto insegnare, fu divisa dagli altri prigionieri. Legata nuda sopra un tavolo, FU SEVIZIATA E STUPRATA senza sosta e senza pietà dai suoi carcerieri a turno, per diversi giorni. La sorella Licia ricorda che dopo la morte di Norma una signora che volle restare anonima le si avvicinò dicendole, a bassa voce: “Signorina non le dico il mio nome, ma io quel pomeriggio, dalla mia casa che era vicina alla scuola, dalle imposte socchiuse, ho visto sua sorella legata ad un tavolo e delle belve abusare di lei; alla sera poi ho sentito anche i suoi lamenti… invocava la mamma e chiedeva acqua, ma non ho potuto fare niente, perché avevo paura anch’io”. La notte tra il 4 e 5 ottobre Norma e gli altri prigionieri, legati col fil di ferro, furono costretti a spostarsi a piedi fino a Villa Surani. Qui, ancora vivi, FURONO GETTATI NELLA FOIBA. Norma e le altre donne, prima di essere uccise furono violentate, senza ritegno, ancora una volta. Sempre la sorella Licia, che fu anche lei arrestata e poi rilasciata, racconta: “Ancora adesso la notte ho gli incubi, al ricordo di come l’abbiamo trovata. MANI LEGATE DIETRO ALLA SCHIENA, tutto aperto sul seno il golfino di lana tirolese comperatoci da papà la volta che ci aveva portate sulle Dolomiti, tutti i vestiti tirati sopra all’addome… Solo il viso mi sembrava abbastanza sereno. Ho cercato di guardare se aveva dei colpi di arma da fuoco, ma non aveva niente; sono convinta che l’abbiano gettata giù ancora viva”.

Con l’arrivo dei tedeschi, sei dei suoi diciassette torturatori furono arrestati, e obbligati a passare l’ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, di QUEL CORPO CHE ESSI AVEVANO SEVIZIATO sessantasette giorni prima, nell’attesa angosciosa della morte certa. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, si dice che tre impazzirono e all’alba caddero ancora prima degli altri, che vennero fucilati a colpi di mitra. Norma, nel 1948, è stata insignita dall’Università di Padova della LAUREA AD HONOREM su proposta del rettore, Concetto Marchesi, e del Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofia; nel 2005 della Medaglia d’oro al merito civile dall’allora Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, con la seguente motivazione: “Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva LUNGAMENTE SEVIZIATA E VIOLENTA dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio”.

Al massacro delle foibe seguì l’ESODO GIULIANO DALMATA, ovvero l’emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia, territori del Regno d’Italia prima occupati dall’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia. Si stima che i giuliani, i fiumani e i dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine ammontino a un numero compreso TRA LE 250.000 E LE 350.000 persone. I termini “foibe” e “infoibare” sono stati poi utilizzati per indicare in generale tutti i massacri che vennero attuati nel corso di quella guerra civile, comprendendo anche le uccisioni che furono in perpetrate in modo diverso: la maggioranza delle vittime morì infatti, spesso dopo atroci torture, nei terribili campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi. Si calcola che le vittime solo nella Venezia Giulia e nella Dalmazia siano state almeno 11.000, tra salme recuperate e morti stimate, senza contare tutte quelle sterminate nei campi di concentramento jugoslavi.

Fonte e Foto Credits: Il Populista

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