Fatte le nomine inizia la censura

Non che ci sia qualche cosa di nuovo, per carità, ma Cinquestelle e Lega si sono divisi le poltrone della Rai con la più classica delle lottizzazioni da Prima Repubblica.

Altro che «fuori la politica dalla tv di Stato», come urlato ai tempi in cui i due partiti occupavano i banchi dell’opposizione. L’antipotere che si fa potere, l’anticasta che si fa casta è il più classico dei finali di una rivoluzione.

Ora partiranno le purghe e dopo i primi giorni per organizzarsi i telegiornali pubblici – dal 4 marzo costretti nel limbo – inizieranno a narrare le gesta dei loro nuovi padroni, oscurando e minimizzando tutto ciò che intralcia il racconto. Non me ne vogliano i bravi colleghi saliti sugli scranni direttoriali, sono loro i primi a ben sapere che in Rai così funziona e non c’è verso di derogare. Il problema non sono loro, che fanno come tutti il loro lavoro con un occhio alla professione e l’altro al portafoglio, ma semmai l’ipocrisia di chi aveva promesso agli italiani un «futuro migliore» anche in questo campo, avendo in testa ben altre intenzioni.

Del resto, da gente che vuole punire i giornali non allineati togliendo loro la pubblicità pubblica, che si augura la chiusura dei quotidiani nel giro di pochi anni, che briga per mettere in grande difficoltà aziende culturali private come Mediaset, cos’altro mai ci saremmo potuti aspettare se non un controllo militare dell’informazione pubblica ancora più stringente di quanto fatto dai loro predecessori? Eccoci serviti, e siamo solo all’antipasto. Le cibarie più gustose arriveranno in tavola tra un paio di mesi, quando entrerà nel vivo la campagna elettorale per le elezioni Europee. Pietanze che scommetto saranno indigeste per tre italiani su quattro, cioè tutti coloro che il 4 marzo non hanno votato i due partiti oggi al governo. Ancora il nuovo corso non si è insediato che già si vedono gli effetti. Ieri sera il Tg1 e il Tg2 sono stati gli unici tra i grandi tg a non mettere nei titoli la notizia del giorno, cioè l’aumento della disoccupazione. In compenso il secondo titolo del Tg1 era: «Conte: lavoriamo per fare crescere il Paese». E quello del Tg2: «Una manovra per rimettere in marcia il Paese».

Nascondono i disoccupati ed esaltano il lavoratore (si fa per dire) Conte. Povera Rai, poveri direttori.

 

IL GIORNALE.IT

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