Il piano di Juncker per l’Africa? Esiste già (e non funziona)

L’Unione europea ha fretta di mostrare una qualche iniziativa concreta verso il continente africano. C’è la volontà di contraddire quella narrativa che vedrebbe Bruxelles senza la minima idea di come gestire due problematiche, divenute oggi prioritarie all’interno dell’agenda europea.

Cina e migrazione, due problemi per Bruxelles

Da una parte c’è il fenomeno migratorio. A prescindere dai numeri effettivi, gli arrivi irregolari dal continente africano sono ormai quotidianamente al centro dell’attenzione pubblica e su questo tema l’Unione europea si trova fragilmente esposta. Finora la tematica migratoria, con le ultime vicende legate al nuovo esecutivo italiano, ha trovato Bruxelles sostanzialmente impreparata nella gestione e nella risoluzione del problema.

In aggiunta a questo vi è poi la persistente intraprendenza cinese che sta facendo del continente africano il proprio partner privilegiato per quel faraonico progetto conosciuto con il nome di “Nuova via della Seta”. Solo lo scorso 3 settembre il Presidente cinese Xi Jinping annunciava un programma di investimenti di 60 miliardi proprio in Africa. Di fronte a questi due scenari che stanno indebolendo l’ìmmagine e il ruolo dell’Unione europea, Bruxelles ha sentito la necessità di rispondere. Come spesso accade però la fretta è una cattiva consigliera e organizzare una risposta su due piedi può talvolta peggiorare la situazione.

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“10 milioni di posti di lavoro in 5 anni”

È stato lo stesso Presidente della Commissione europea a prendersi la responsabilità sul tema. “L’Africa non ha bisogno di carità, ma di un partenariato equo e leale. E noi europei ne abbiamo altrettanto bisogno“, ha dichiarato Jean Claude Juncker, aggiungendo che con un nuovo piano europeo per l’Africa si intendono creare 10 milioni di posti di lavoro in 5 anni. Intenzioni ambiziose che potrebbero però servire più come semplice acqua sul fuoco per raffreddare le tensioni in sede Ue, piuttosto che essere una reale strategia condivisa. Occorre infatti sottolineare fin da subito come esista già ed è attualmente in corso un ingente programma di investimenti europei in Africa.

Si tratta del Programma Panafricano lanciato nel 2014 e che terminerà nel 2020. Difficile dunque pensare che un nuovo progetto possa essere lanciato e sottoscritto prima di tale data. Ad ogni modo questo Programma Panafricano ha previsto lo stanziamento di 845 milioni di euro per investimenti nel continente nero, gestiti dagli strumenti di cooperazione allo sviluppo in seno all’Ue.

L’inconsistenza del Programma Panafricano

Bene, ora proviamo ad analizzare l’impatto che tale programma ha avuto in Africa, per esempio in Kenya, uno degli Stati ove si sono sviluppati alcuni progetti europei. Se è vero che il tasso di crescita del Pil si attesta tra il 5 e il 6% annuale, d’altra parte lo stesso trend non ha investito gli indicatori sociali. Dal 2014, anno di inizio del Programma europeo, ad oggi il tasso di disoccupazione è rimasto invariato, fermo ad un abbondante 11%.

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Anzi lo scorso marzo 2018 il Kenya National Bureau of Statistics annunciava la presenza di 7 milioni di disoccupati nel Paese (su una popolazione di circa 40 milioni di persone) e un tasso di disoccupazione giovanile, tra i 20 e 24 anni, che spesso superava il 20%. A questo va poi aggiunto un tasso di inflazione che continua a rimanere a livelli alti, 6,3%, erodendo così il potere di acquisto della popolazione. Sembra dunque che questo programma europeo non abbia portato alla riduzione di quei fattori problematici, prima causa di migrazione (come la disoccupazione e il costo della vita). Il piano che Juncker vorrebbe lanciare non si discosta molto dagli obiettivi già presenti nel Programma Panafricano e sembra non essere dotata di elementi innovativi.

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Il franco Cfa blocca lo sviluppo dell’Africa

Questa strategia potrebbe poi non riuscire a discostarsi da una mera cooperazione allo sviluppo, quando altre problematicità affliggono le relazioni tra Europa e Africa. Tra queste vi è l’ambiguo ruolo esercitato dalla Francia nell’Africa occidentale. “Nell’Africa francofona e legata al Cfa, i monopoli delle telecomunicazioni, bancari, portuali e delle materie prime sono detenuti da società francesi. Le privatizzazioni sono state, anche nell’Africa della Francophonie, il grimaldello per far entrare il capitale francese all’interno delle ex-colonie africane”, scriveva formiche.net lo scorso agosto in riferimento all’atteggiamento francese in Africa.

Ecco, risulterebbe quindi necessario che un futuro piano per l’Africa ridimensioni il ruolo e l’influenza di alcuni Stati europei, prima ancora di discutere eventuali piani di investimenti. Gli 800 milioni di euro investiti dal 2014 sono solo briciole rispetto ai 60 miliardi cinesi e oltretutto diventano ancor più insignificanti se a beneficiarne sono aziende transalpine.

 

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