Serraj alle corde chiede aiuto Salvini: “Intervento escluso”

Niente interventi in Libia da parte dell’Italia. A smentire le ipotesi uscite nelle scorse ore è prima una nota di Palazzo Chigi, poi l’intervento del ministro dell’Interno, Matteo Salvini che, dopo il Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio, chiarisce: «Escludo interventi militari che non risolvono nulla.

E questo dovrebbero capirlo anche altri. Temo che qualcuno, per motivi economici, metta a rischio la stabilità del Nord Africa, come chi è andato a far guerre che non doveva fare». Il riferimento va alla Francia di Macron, anche se fonti di intelligence fanno capire che in realtà dietro ai disordini di questi giorni ci sarebbero ex miliziani dell’Isis, pronti a creare caos. La situazione a Tripoli si è fatta incandescente, tanto che otto diplomatici italiani sono stati esfiltrati e già si pensa a portar via il resto dei connazionali nel Paese. Ieri il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, aveva annunciato che segue con attenzione la situazione. «Il presidente Fico ha ragione ha chiarito -: la Francia in questo senso ha le sue responsabilità. Ora bisogna remare tutti insieme per il bene e la pace del popolo libico». E sull’intervento militare: «Non prendo minimamente in considerazione l’argomento. È compito dei libici proteggere se stessi e trovare un accordo. Il nostro, in questa fase, deve essere di facilitarne il dialogo».

Per Salvini «l’Italia deve essere protagonista della pacificazione in Libia. Le incursioni di chi ha altri interessi non devono prevalere sul bene comune che è la pace». Il ministro si è reso disponibile, dopo aver ringraziato la Guardia costiera libica per il lavoro, «a correre qualche rischio e tornarci prima possibile perché è troppo importante una Libia finalmente pacificata».

La realtà, però, crea non poche preoccupazioni. Le milizie fedeli ad Al Serraj starebbero valutando di appoggiare quelle di Haftar, il settimo generale, mentre nuovi razzi vengono lanciati sulla capitale. Al-Serraj ha chiesto e ottenuto l’intervento delle potenti milizie di stanza a Misurata per mettere fine ai combattimenti che vanno avanti da otto giorni a Tripoli. E nel frattempo, il ministero dell’Interno libico ha deciso di spostare la propria sala operativa a Gianzur, un centro abitato del distretto di Zawiya, distante 12 chilometri dalla capitale, e considerato più sicuro. Il timore maggiore è che si possa creare un imbuto verso Misurata e che la situazione possa virare da un momento all’altro, anche perché sta accadendo esattamente ciò che successe nel 2011, subito dopo la Primavera araba: numerose persone, spaventate per le esplosioni a Tripoli, stanno fuggendo verso la Tunisia, in cerca di salvezza. Da lì potrebbero, con la complicità dei trafficanti di esseri umani, legati ai terroristi e alla criminalità organizzata, salire sui barconi alla volta dell’Italia. E lì scatterebbe il dramma. Come potrebbe, Il nostro Paese, fermare un esodo così importante?

Fonti libiche hanno parlato di 47 morti, anche se il numero è destinato a salire e alcuni media sostengono che i decessi sarebbero oltre 200. Tripoli è nel caos, con i miliziani della Settima brigata che continuano a colpire e razziare la capitale. L’area più colpita sarebbe quella di Abu Salim. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e parla di «attentato alla sicurezza di Tripoli e dei suoi abitanti, davanti ai quali non si può restare in silenzio».

La comunità internazionale ha gli occhi puntati sulla situazione esplosiva. Per adesso nessuno parla di intervento ma nel Mediterraneo c’è un viavai di navi e assetti che stanno monitorando la situazione. Le prossime ore saranno decisive per capire anche quale ruolo potrà avere l’Italia nell’aiutare la Libia. Intanto la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha convocato le parti coinvolte nelle violenze per oggi alle 12 «in un luogo che verrà annunciato in seguito». Per un «dialogo urgente sull’attuale situazione della sicurezza a Tripoli». IL GIORNALE.IT

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